Tomb Raider (2013)
Durante una spedizione archeologica volta a raggiungere il mitico Regno Yamati, la nave Endurance finisce all’interno del Triangolo del Diavolo, dove una violentissima tempesta scaglia l’equipaggio su un’isola misteriosa. Fra i sopravvissuti c’è la giovane e inesperta Lara Croft, fresca di laurea in archeologia. Con la sola forza della disperazione, la ragazza va in cerca dei naufraghi ma si imbatte nei pericolosi isolani del luogo, adoratori di Himiko, regina del Regno Yamati.
L’originale “Tomb Raider” (1996) fu pesantemente influenzato, nelle meccaniche di gameplay, da quel “Prince of Persia” (1989) che contribuì a definire il concetto di arcade-adventure. L’ideale chiusura del cerchio avvenne con il reboot “Le Sabbie del Tempo” (2003) in cui il Principe sembrava più di una volta rifarsi alle gesta e alle acrobazie della sinuosa avventuriera. Questa volta è invece la serie creata dalla Core Design a riscuotere il debito, pescando elementi in modo più o meno palese dalla trilogia di “Uncharted” dei Naughty Dog, a sua volta in parte ispirata proprio dalle avventure di miss Croft.
L’idea di operare un reset della serie di “Tomb Raider” dopo appena sette anni dal primo reboot (e in seguito a una sola storia narrata in tre capitoli, l’ultimo datato 2008) può sembrare, nel migliore dei casi, ampiamente discutibile. Infatti, la trilogia della Crystal Dynamics (composta da “Legend”, “Anniversary” e “Underworld”) avrebbe senz’altro potuto ampliarsi con nuove avventure, forti di un lavoro sul personaggio molto più elaborato e credibile di quello effettuato durante l’epoca Core Design e di un gameplay solido e rodato. Ma, si sa, al marketing non si comanda e, dopo una campagna pubblicitaria molto pressante (ed efficace), “Tomb Raider” vede la luce nel 2013 promettendo una (ri)scrittura curata e coinvolgente delle origini di Lara Croft e una giocabilità più al passo coi tempi.
L’ambizioso progetto, capeggiato da Noah Huges (direttore del design della precedente trilogia), propone una struttura ludica effettivamente più moderna ispirata ai titoli ‘open world’, con conseguente abbassamento del livello di difficoltà così come esige il mercato commerciale.
Infatti, l’avventura sembra sempre ‘suggerire’ il modo più elementare, corretto e spettacolare di affrontare le sfide principali, consegnando al giocatore una libertà limitata solo in quelle secondarie, spesso costituite da ‘cacce al tesoro’ (il recupero di artefatti o munizioni) o piccole varianti dello stesso concept (il ritrovamento di ‘secrets’o l’interazione con particolari elementi dello scenario).
Un’altra novità importante è l’adozione di un approccio marcatamente più stealth, con Lara che – fra coperture dietro ripari e passo felpato – dimostra la nuova capacità di freddare nemici ignari (a mani nude, ma più frequentemente con l’utilizzo dell’arco).
Pur semplificate, le classiche acrobazie non mancano, ma creano qualche grattacapo solo nelle facoltative esplorazioni all’interno delle tombe (in cui la protagonista torna a rendere giustizia all’appellativo di tomb raider), caratterizzate da una struttura più classica e dalla presenza di piccoli enigmi (qualcosa del genere si era visto anche in “Asssassin’s Creed II”).
In generale, il level design (a opera del ritrovato Jason Botta, ex direttore creativo e capo designer dell’ottimo “Anniversary”) è decisamente di qualità e propone un ventaglio di situazioni molto ampio e un occhio di riguardo verso il ritmo, che alterna sapientemente fasi stealth e compassate a quelle più adrenaliniche, nelle quali spesso ci si trova a correre come pazzi mentre l’intero ambiente crolla intorno alla protagonista.
La raccolta di materiali vari e di punti esperienza (maturabili soprattutto attraverso le missioni secondarie) introducono la possibilità di effettuare potenziamenti alle armi (o agli utensili) e, soprattutto, di incrementare le abilità della protagonista. Tale elemento, vagamente rpg, finisce ironicamente per ricordare – insieme agli intermezzi stealth – il controverso e sfortunato “Tomb Raider: The Angel of Darkness” (l’ultima prova della Core Design prima di passare il testimone ai nuovi autori), in cui l’evoluzione delle facoltà di Lara era comunque gestita in modo assai meno convincente.
L’altro fattore che giustifica – seppur in parte – il reboot è certamente costituito dal nuovo clima di sofferenza e disperazione che viene riversato continuamente sulla povera protagonista (qui poco più che ventenne). A parte la presenza di un buon numero di sequenze gore, grande attenzione è riposta nel mostrare le reazioni di Lara di fronte alle tremende prove fisiche a cui è sottoposta senza alcuna tregua, con più di una sequenza in cui la ragazza sembra abbandonare definitivamente le forze. La survivor di “Tomb Raider” è infatti ben lontana dalla donna ferma, facoltosa e sicura di sé che si era imparato a conoscere in passato (in special modo nella sua incarnazione Core).
La nuova miss Croft è una maschera di fatica e sofferenza che il giocatore sente gemere dal dolore più spesso di quanto la ascolta parlare, e il cui fisico (sinuoso e attraente più che mai, sebbene ammorbidito dalle esagerazioni degli episodi precedenti) è progressivamente martoriato da ferite di ogni tipo, ben visibili sul precisissimo modello poligonale.
La cura con la quale è stato riscritto il personaggio è frutto di un lavoro puntuale e acuto che non dimentica l’ingombrante retaggio, fornendo qualche simpatica ammiccata (come quando, di fronte all’ennesima esplorazione sotterranea, Lara esclama ‘Detesto le tombe!’) e la costruzione della giusta attesa prima di mostrare elementi del look classico (soltanto alla fine del gioco si entra in possesso delle iconiche doppie pistole).
È esaltante poi osservare il progresso della sua personalità, che passa (forse troppo velocemente) dall’essere quello di un’intimorita ragazzina alle prese con situazioni più grandi di lei a quello di una rabbiosa macchina da guerra che inveisce contro i nemici mentre li falcia senza pietà.
A conti fatti, insomma, gli sceneggiatori della Crystal Dynamics (capeggiati da Rihanna Pratchett) dimostrano ancora una volta di saper gestire ottimamente il materiale relativo alla bella lady inglese, facendosi perdonare – perlomeno a metà – il bieco espediente commerciale del reboot.
Meno buona invece appare la scrittura della trama generale (che affronta l’argomento fanta-archeologico, tipico della serie, solo di striscio), incapace di andare oltre personaggi perlopiù deboli e risvolti dell’intreccio ampiamente prevedibili. Sarebbe inoltre stato decisamente preferibile optare per una storia meno elaborata ma narrata in modo più interessante piuttosto che ritirarsi nel sostanzioso materiale testuale (documenti sbloccati dal recupero di oggetti chiave): un classico stratagemma buono solo a uccidere il ritmo e a risultare tremendamente noioso.
D’altra parte, l’aspetto visivo di “Tomb Raider” non potrebbe essere migliore e il livello di dettaglio lascia a bocca aperta non solo durante le cutscene (dirette dal redivivo Toby Gard e da Cory Balrog) ma anche – e soprattutto – in game. Splendidi panorami, ambienti che vanno in pezzi, effetti di illuminazione, furia degli elementi: tutto sembra al posto giusto, e fare le pulci a un frame rate che non sempre tiene il passo può essere un po’ pretestuoso.
Svetta su ogni cosa la splendida e praticamente perfetta protagonista, caratterizzata da tratti delicati (piuttosto somiglianti a quelli dell’attrice Jennifer Lawrence) e da una ‘recitazione’ molto convincente. Da segnalare anche la spettacolare fisica dei capelli (possibile grazie a una nuova tecnologia sviluppata da AMD) che – incredibile a dirsi – riesce effettivamente a migliorare l’aspetto globale, valorizzando gli effetti del vento e rendendo i movimenti di Lara più ‘cool’ e realistici.
Prevedibilmente, è stato anche effettuato un cambio di voce, e l’attrice Camilla Luddington (recurring nel serial “Californication” e personaggio regolare dalla nona stagione di “Grey’s Anatomy”) sostituisce adeguatamente l’ottima Keeley Hawes; per fortuna, il rimpiazzo è stato finalmente effettuato anche nella versione italiana, con l’introduzione della brava Benedetta Ponticelli, dal timbro nettamente più fresco e adeguato rispetto a quello della veterana Elda Olivieri.
Molto efficace, infine, l’utilizzo delle musiche, che si adattano alle diverse situazioni di gioco: purtroppo, però, la partitura di Jason Graves non riesce a lasciare il segno più di tanto – se si eccettua il piacevole main theme (riscritto in occasione del reboot).
“Tomb Raider” è l’emblema del prodotto commerciale del nuovo decennio: vario, cinematografico, divertente. Un titolo confezionato a dovere rivolto al pubblico mainstream, progettato per priorizzare l’esperienza piuttosto che una sfida elevata. Magari non può contare su una sceneggiatura sopraffina, e forse non si tratta di un gioco artisticamente rilevante, ma la qualità dell’intrattenimento è fuori discussione.
La citazione:
Lara: Quando la vita scorre davanti ai nostri occhi, troviamo qualcosa, qualcosa che ci fa andare avanti. Qualcosa che ci spinge a sopravvivere. Qualcosa che ci fa andare avanti. Quando tutto sembrava perduto, ho trovato la verità, e ho capito ciò che sarei dovuta diventare.
Agosto 9, 2013 venerdì at 10:27 pm