Super Mario Bros.
Sono in molti a pensare che i lungometraggi tratti dai videogiochi non siano mai all’altezza del modello ispiratore. A giudicare dai generali risultati, in effetti, non c’è molto da stare allegri.
Realizzate da ‘autori’ che nulla hanno a che vedere con il prototipo e gestite come se fra videogiochi e cinema non ci fosse poi molta differenza, tali pellicole valgono spesso come metodi più o meno furbi per spremere i fanatici, attirati per inerzia al cinema a guardare il loro gioco preferito sullo schermone.
Che piaccia o meno, tutto è cominciato da qui.
Lara Croft non è neanche più un personaggio di una serie di videogiochi: è un’icona pop, un modello, un simbolo di femminismo in un ambiente dominato dal testosterone.
‘Super Mario’, invece, incarna l’essenza stessa di videogioco inteso in senso classico e, ormai, un po’ rètro. Creato per la Nintendo da Shigeru Miyamoto nel lontanissimo (videoludicamente parlando) 1981 e apparso per la prima volta in “Donkey Kong” (col nome di ‘Jumpman’), Mario è un personaggio semplice, senza retorica, senza messaggi. Prepotentemente e orgogliosamente platform. È, a tutti gli effetti, il personaggio ‘simbolo’ del mondo videoludico, il più elementare, genuino e ludico fra tutti, l’unico a non voler valicare confini non suoi reggendo contemporaneamente l’implacabile prova del tempo.
C’era quindi un modo migliore, se non con Mario, per inaugurare una lunga serie adattamenti filmici tratti da videogiochi?
Purtroppo… sì.
Flop al botteghino, bistrattato dalla critica e, soprattutto, detestato dai fan, “Super Mario Bros.” non rappresenta esattamente il modo migliore per rendere giustizia, attraverso il cinema, a un medium ancora poco considerato dal pubblico di massa (parliamo del 1993).
Ma sparare sulla croce rossa è fin troppo facile. Proviamo invece l’approccio disincantato.
Le premesse per una produzione almeno discreta, a dire il vero, c’erano. Per il ruolo del baffuto idraulico protagonista si opta per il faccione simpatico di Bob Hoskins, non nuovo al genere fantastico per ragazzi (“Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, “Hook”); il bravo John Leguizamo (scelto successivamente da Spike Lee per “Summer of Sam”) è Luigi; al mostro sacro Dennis Hopper il compito di dare corpo alla figura del villain, Koopa; l’emergente Samantha Mathis (appena 22enne) è carina e abbastanza convincente nel rappresentare la principessa Daisy. A una coppia di registi (futuri coniugi) semi esordienti, Annabel Jankel e Rocky Morton, il compito di gestire il tutto.
Si presentava quindi il problema della trama: come costruire una storia partendo da un videogioco in cui la sceneggiatura è davvero l’ultima cosa? Ma stravolgendo tutto, ovviamente!
Scelta infelice.
I fratelli Mario e Luigi sono due squattrinati idraulici di origine italiana. In seguito al rapimento della ragazza di cui Luigi è innamorato, Daisy, i nostri eroi inseguono gli autori del misfatto attraverso una dimensione parallela, una sorta di Brooklyn alternativa popolata dai discendenti dei dinosauri. Evoluta in forma umanoide, la popolazione di origine rettile è governata da Koopa, un dittatore che, dopo aver usurpato il trono del vecchio Re (padre di Daisy), mira alla conquista della dimensione degli umani.
Non è il caso di segnalare i numerosi punti in cui “Super Mario Bros.” differisce dal modello originario, mentre va fatto notare come non sia presente neanche un momento in cui la pellicola somigli lontanamente a una versione live-action del videogioco. Tralasciando la scelta dei personaggi (la Principessa Daisy è preferita a Peach), le atmosfere del film appaiono decisamente troppo cupe, fantascientifiche e sporche per ricordare i paesaggi fantasy e colorati del gioco. Decisamente troppo “Blade Runner”, e poco “Mario Bros.”.
Tutto ciò, comunque, passerebbe in secondo piano se ci trovassimo di fronte a un buon film, ma purtroppo “Super Mario Bros.” si propone come un fantasy/fantascientifico dai toni leggeri mancando totalmente di verve, di battute realmente esilaranti. Neanche l’azione è gestita bene, risultando piatta e banale, e la missione non appare mai vagamente avvincente.
La pellicola è arida, kitsch, senza alcuna profondità: un compitino svolto senza esserne trascinati, che delude sia i fan di Mario che il pubblico occasionale. Fra le note più stonate c’è il povero Dennis Hooper, davvero una macchietta nei panni di Koopa: troppo caricaturale per sembrare anche vagamente pericoloso.
Comunque, qualcosa di salvabile, a ben vedere, esiste. Innanzitutto, il duo di idraulici non è poi così tremendo e generalmente risulta perfino simpatico, anche grazie a un indubbio phisyque du role. Aiutano non poco anche gli ottimi doppiatori italiani, Michele Gammino (Mario) e Sandro Acerbo (Luigi), che a volte sopperiscono a una generale svogliatezza dei protagonisti.
Buona la colonna sonora di Alan Silvestri (“Ritorno al Futuro”) e la trovata della macchina della de-evoluzione, a ben vedere l’unica idea davvero divertente del film.
In linea di massima, il tono mai serioso salva più volte il lungometraggio dal disastro totale.
Il vero problema di “Super Mario Bros.” è che non lascia il segno, e oggi come oggi sembra essere davvero ricordato solo da:
1) Gli hardcore gamers cresciuti col mito di Mario, che hanno dovuto sopportare lo snaturamento del videogioco/simbolo del loro hobby preferito;
2) Bob Hoskins: nonostante inizialmente fosse ignaro che la pellicola fosse tratta da un videogioco (!), il ‘lavoro’ lo ricorda molto bene. In un’intervista al The Guardian datata agosto 2007, ha infatti dichiarato (testualmente): ‘La cosa peggiore che ho fatto? “Super Mario Brothers”. È stato un fottuto incubo. L’intera esperienza è stata un incubo. Era diretto da un team di marito e moglie, la cui arroganza era stata erroneamente scambiata per talento. Dopo tutte quelle settimane, il loro stesso agente gli disse di andar via dal set! Fottuto incubo. Fottuti idioti’.
Beh, nessuno ha mai detto che si può far centro al primo colpo, no?
O, almeno, l’irrinunciabile ottimismo degli anni ’90 portava a pensare ciò.
Ma poi arrivò Uwe Boll, e tutto cambiò.
La citazione:
Guardia: Nome.
Mario: Mario.
Guardia: Cognome?
Mario: Mario.
Guardia: Va bene. (si rivolge a Luigi) Tu come ti chiami?
Luigi: Luigi.
Guardia: Luigi Luigi?
Luigi: Luigi Mario!
Guardia: Un momento… quanti Mario ci sono tra tutti e due?
Luigi: Ce ne sono tre! C’è Mario Mario, e Luigi Mario.
Guardia: Mike! Toglimi dalle scatole questi tre Mario!
Nota: Il brusco finale è dovuto all’intenzione originaria di produrre un sequel: per ovvie ragioni, però, non se ne fece più niente.
Piccolo trivia: inizialmente, Danny De Vito era stato valutato per il ruolo di Mario.
Agosto 11, 2013 domenica at 11:50 am