Max Payne 2: The Fall of Max Payne
Due anni dopo la vendetta contro gli assassini della sua famiglia, Max Payne è tornato a essere un detective della polizia di New York. Il destino però è sempre in agguato, e un caso apparentemente semplice si trasforma presto in un contorto intrigo nel quale è impossibile fidarsi di qualcuno.
L’incontro con la rediviva femme fatale Mona Sax contribuisce a complicare le cose, facendo sprofondare Max in una spirale di ambiguità e doppiogiochismo in cui nessuno è pulito: sospeso fra incubo e realtà, il tenebroso poliziotto sarà chiamato a sostenere innumerevoli prove fisiche ed emotive danzando in mezzo a una tempesta di proiettili.
Forti del successo del primo episodio, la Remedy e il suo uomo di riferimento, l’autore Sami Järvi, si fanno attendere solo per un paio d’anni per raccontare con “Max Payne 2: The Fall of Max Payne” (2003) il seguito delle violente e oscure peripezie del vendicatore newyorkese in giacca di pelle.
Nonostante sia l’engine che il gameplay restino praticamente invariati, gli autori effettuano un upgrade in tutti i settori. Il primo elemento a beneficarne è ovviamente la grafica: adesso Max ha perso l’effetto ‘viso reale appiccicato sul modello’ e risulta essere più credibile e meglio animato (il volto è stato ricreato dalle fattezza dell’attore Timothy Gibbs, che sostituisce lo stesso Järvi); stessa sorte anche per il resto del cast. Il miglioramento coinvolge anche gli altri settori e il risultato globale è tanto buono che la valenza narrativa delle cutscene realizzate col motore di gioco è stata ampliata, affiancandosi con efficacia al gradito ritorno degli intermezzi in stile graphic novel.
Prevedibilmente anche elemento più peculiare del gioco originale, il bullet time, è stato rafforzato in modo da spingere il giocatore al suo utilizzo praticamente in tutti i frangenti: ora la barra si riempie velocemente e non si scarica durante i ‘tuffi’; inoltre, la ricarica dell’arma viene eseguita durante i ralenti attraverso un’elegante piroetta dal sapore hongkongiano. Sempre in nome della spettacolarità, viene fatto largo utilizzo del motore fisico Havok: la feature non modifica realmente il gameplay, ma viene impiegata soprattutto per motivi coreografici. Infatti, gli autori disseminano lo scenario di scatoloni e bidoni proprio per far apprezzare al meglio il devastante passaggio di Max e del suo arsenale, e una granata può facilmente scaraventare un nemico distruggendo un arredamento posizionato ad arte. In realtà, però, gli effetti della fisica risultano essere ancora acerbi e decisamente esagerati, producendo spesso situazioni improbabili, come criminali che, in balia della modalità ragdoll che scatta dal momento in cui vengono messi fuori gioco, restano letteralmente in volo durante una scarica di mitra. Chiude il cerchio un doppiaggio italiano ancora una volta di ottimo livello e una colonna sonora complessivamente più ricca rispetto al capitolo precedente, che può anche contare su un riarrangiamento più caldo e malinconico del main theme.
Per quanto i fattori sopra espressi riescano a reggere il gioco per le prime ore, verso la metà dell’avventura si percepisce inevitabilmente una certa ripetitività degli scenari nonchè poca varietà. Gli autori tentano di rimediare permettendo di impersonare per un certo periodo la letale Mona che, imbracciando il suo fucile da cecchino, tende a colpire dalla distanza, costringendo il giocatore a un approccio diverso. Peccato però che nel primo episodio lo stesso Max aveva la possibilità di utilizzare armi dalla lunga gittata, sicchè tali sezioni non appaiono come una novità assoluta.
In effetti, tale osservazione rappresenta un po’ la chiave per decifrare la riuscita di questo “Max Payne 2”: per quanto le migliorie siano gradite, il loro numero risulta ancora troppo esiguo per poter giustificare un’esperienza nuova del tutto appagante. Il tasso di sfida (in parte calibrato osservando l’abilità del giocatore) e la ridotta longevità assicurano una fruizione piacevole e abbastanza divertente, ma al termine dell’avventura ci si sente parzialmente insoddisfatti.
Il tratto pulp della narrazione e l’abuso – spesso ironico – di cliché, altri punti di forza del primo episodio, cercano di motivare il prezzo del biglietto con un intreccio che questa volta si sposta da una sana vendetta ‘vecchio stile’ a una sensuale love story noir. Purtroppo però, riempire la vicenda di troppi personaggi/villain marginali, mantenendo nel contempo il focus sul viaggio nella mente di Max, impedisce forse l’adeguato approfondimento di qualsiasi storyline. Il rapporto fra il protagonista e Mona (con un Max che, in preda a turbe ossessive, sembra non trovare mai la pace) rappresenta comunque l’aspetto migliore di una sceneggiatura che parte in maniera convincente ma che presto torna su binari più canonici. Ben sviluppato anche il progresso nell’evoluzione dell’eroe, il quale in questo episodio appare più desideroso di voltare pagina e di sganciarsi dai fantasmi del passato, ricominciando finalmente una nuova vita (Mona rappresenta ‘l’appiglio’ per la salvezza).
“Max Payne 2: The Fall of Max Payne” è forse ciò che il primo “Max Payne” avrebbe dovuto essere fin dal principio. Pur essendo una versione migliorata e ampliata del titolo originale, questo seguito non può però contare su elementi davvero innovativi: se il primo episodio era quindi una fresca tempesta di neve, la nuova iterazione non va oltre la leggera brezza.
La citazione:
Max: Mi aveva portato qui, in questo momento di lucidità, quando il tempo rallenta. Scelsi di guardare indietro, per vedere me stesso. E in quel momento, resuscitai.
Novembre 21, 2015 sabato at 4:45 pm