Labyrinth: Dove Tutto è Possibile
Sarah è un’adolescente dotata di grande immaginazione a cui piace perdersi in mondi fiabeschi. Una certa solitudine e un rapporto difficile con la famiglia – specialmente con la matrigna e il piccolo fratellastro Toby – amplifica fortemente questa caratteristica, il che conduce la ragazza a rifugiarsi sempre più spesso nei suoi universi incantati. Una sera, stanca di dover ancora una volta accudire il piccolo Toby, Sarah invoca – con fatale leggerezza – Jareth, il re dei Goblin, affinché porti via suo fratello.
Detto fatto: Jareth, la cui forma terrena è rappresentata da un barbagianni, si materializza di fronte a lei e le annuncia con severità che Toby è ora prigioniero del suo castello, situato al centro di un immenso labirinto senza logica né regole all’interno della fantastica città dei Goblin.
A Sarah non resta quindi che affrontare il labirinto e le creature che lo popolano, che sembrano uscite proprio dalla sua fantasia, compreso il temibile Jareth…
Prodotto dalla Lucasfilm (lo stesso George Lucas compare come produttore esecutivo) e sceneggiato dall’ex Monty Phyton Terry Jones, “Labyrinth” (il sottotitolo italiano “Dove Tutto è Possibile” è in realtà lo slogan originale) porta la firma del compianto Jim Henson, grande burattinaio e autore dei “Muppet” (nonché fisicamente ‘manovratore’ di Kermit la Rana). Con già all’attivo svariati lungometraggi dedicati al gruppo dei Muppet e anche un vero film recitato interamente da pupazzi (“The Dark Crystal”, interessante pellicola fantasy del 1982), il regista di New York decide di realizzare nel 1986 un fantasy i cui protagonisti sono umani, conservando comunque una serie di importanti comprimari rappresentati dai puppet.
La schiera dei goblin è infatti molto varia e caratterizzata (su tutti spiccano la folle Fire Gang, la gigantesca guardia finale Humongous, e le enigmatiche Quattro Guardie), ma la parte del leone la fanno i membri dell’improbabile team di pupazzi-eroi che accompagna Sarah nelle sue avventure: il vigliacco ma puro di spirito Hoggle (il cui complessissimo volto è capace di compiere una gamma di espressioni senza precedenti), l’enorme ma tenero Ludo (un bestione difficile da manovrare per i due poveri burattinai che si alternavano al suo interno) e l’esilarante e nobile Sir Didymus (un essere dalle fattezze di uno yorkshire a cavallo di un… cagnolino).
Nonostante tutto, però, le vere star si confermano i protagonisti umani. La semi-esordiente e futuro premio Oscar Jennifer Connelly (appena quindicenne ma già dalla bellezza fuori dal mondo) è una Sarah perfetta, ora isterica ora saggia, dotata di forte caratterizzazione.
Henson, convinto ad assoldare un rocker per il ruolo di Jareth, paventa prima Sting e Michael Jackson, ma poi la scelta cade felicemente su David Bowie, grande cantante e, soprattutto, ottimo attore: il suo è un Jareth affascinante ma tormentato, degno di entrare fra i villain più apprezzati della storia. A Bowie (che non rinuncia anche a brevi parentesi umoristiche) va anche il compito di comporre la maestosa colonna sonora, costituita da brani (pesantemente influenzati dal rock anni ’80) che si assestano su una qualità piuttosto alta (davvero notevole il main theme gospel, “Underground”, e il caldo e intenso “Within You”). Trevor Jones integra la soundtrack con un adeguato score, supporto alla musica di Bowie.
Completa il quadro dei personaggi in carne e ossa il piccolo Toby Froud dagli occhioni blu, figlio di Brian Froud (costumista e conceptual designer del film).
La produzione di Lucas si fa sentire qua e là: il grande Frank Oz/Yoda ‘anima’ il divertente Wiseman (Il Saggio), Kenny Baker/C1-P8 e Warwick Davis/Willow fanno parte del gruppo dei goblin; alla Industrial Light & Magic, invece, vanno gli effetti speciali visivi (occhio al barbagianni dei titoli di testa, uno dei primissimi esempi di computer graphic al cinema), a onor del vero non proprio sorprendenti. Naturalmente, la miscela di fantasy/avventura con generose dosi di umorismo è roba tipica del buon vecchio zio George, sebbene la mano di Henson, insieme a quella di Terry Jones (che dona un’impronta più inquietante e allucinata alla sceneggiatura, quasi ‘gilliamiana’ in un paio di sequenze), si senta e sia anche molto precisa e autoriale: ciò rende le atmosfere, in definitiva, piuttosto lontane da quelle prettamente lucasiane.
Inoltre, il viaggio di Sarah subisce le influenze, per stessa ammissione degli autori, di classici come “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Il Mago di Oz”.
Lo splendido tema di “Labyrinth” ruota attorno alla crescita della protagonista. Il temibile labirinto è un’allegoria delle difficoltà che conducono alla maturità: l’unico modo per risolverlo non è cercare la logica o pretendere correttezza e onestà (Sarah si lagna più volte utilizzando la line ricorrente ‘Non è giusto!’), ma adeguarsi alle sue non-regole, imparando a gestirle e a volgerle a proprio favore, fino a guardare negli occhi le proprie paure (‘Devo affrontarlo da sola, perché così va fatto’).
Jareth incarna la parte distorta dell’immaginazione, quella che fa perdere il contatto con la realtà, rifugio effimero di una mente fervida. Figura carismatica e assai seducente, egli è la personificazione della paura e delle insidie della fantasia, il Male che tenta incessantemente di uscire fuori dalla propria artefice al fine di condizionarla e dominarla.
Burattino e burattinaio, Jareth inganna e ammalia, terrorizza e affascina facendo leva sul lato più infantile di Sarah, creatrice – inizialmente – ancora immatura e incapace di gestire adeguatamente la sua fantasia: lasciata senza controllo, essa rischia di sopraffarla e di alienarla completamente, assorbendola in un mondo che la tiene definitivamente alla larga dalla vita reale (fondamentale e non subordinato elemento dell’esistenza).
Quando lo scontro fra l’equilibrio della maturità e l’abisso della perdizione si fa più palese, ovvero nell’ultima mezz’ora (assalto alla città dei Goblin esclusa, comunque divertente), il film non risparmia una lunga serie di scene epiche e memorabili: la disturbante sequenza onirico-allucinata del ballo in maschera, durante la quale Sarah rischia di rimanere rinchiusa, inconsapevolmente, nell’illusione creata dal Re dei Goblin; la scenografia visionaria delle scalinate poste senza limiti di gravità (modello Escher), all’interno della quale la protagonista appare finalmente determinata, di fronte a un ormai esausto e disperato Jareth, a recuperare il fratellino affrontando un inseguimento sleale; e infine, il confronto finale con il nemico quasi inerme e implorante, con Sarah che finalmente impara pienamente a escludere la paura logorante dalle proprie fantasie. Non è da meno l’ultimissima scena, immagine della maturità ormai acquisita che però non rinnega le gioie dell’immaginazione.
Sul fronte della qualità cinematografica in senso stretto siamo su livelli piuttosto alti, sebbene il film subisca una leggera flessione durante la parte centrale, sconfinando in momenti vagamente kitsch e forse eccessivamente grotteschi. Inoltre, il look e la musica di Bowie, retaggi del periodo storico a cui appartengono, possono oggi fare un po’ sorridere, ma in fondo non si tratta di niente di grave. Infine, qualche effetto speciale risulta essere un po’ rozzo, come nei fotomontaggi (lo scenario della Fire Gang, il volo del barbagianni in casa) o in un paio di momenti action (come lo scontro contro l’Humongous). Naturalmente, gli ottimi puppetsono realizzati splendidamente ma sfigurano in confronto al realismo degli FX a cui siamo abituati oggi.
Piccolezze: “Labyrinth” è un viaggio visionario verso la maturità e una grande e divertente avventura. Soprattutto, è una lucidissima e incoraggiante metafora sull’importanza della fantasia e sul suo giusto ruolo nella vita reale.
La citazione:
Jareth: “Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico. E io diventerò il tuo schiavo”
Nota: Le tematiche di “Labyrinth” sono forse troppo complesse per essere ben assorbite attraverso una sola visione. Il film è infatti stato un flop al cinema, ma si è guadagnato col tempo il rango di cult, tanto da essere oggi abbastanza popolare da godere di un seguito ufficiale in piena produzione: l’OEL manga (‘Original english-language manga’, fumetto americano influenzato dalle tecniche nipponiche) “Return to Labyrinth” di Jake T. Forbes. Diviso in quattro parti, il fumetto è ambientato tredici anni dopo gli eventi del film e vede come protagonista l’ormai adolescente Toby: Jareth, deciso a fare di lui l’erede al suo trono, lo imprigiona nuovamente nello stesso Labirinto che fu teatro delle avventure del film. Sarah, diventata un’insegnante in una scuola, è invece presente in una veste minore.
In Italia l’adattamento nella nostra lingua è avvenuto solo per il primo volume.
E, sempre a proposito di Toby, attualmente l’ormai adulto attore Toby Froud studia cinema e segue le orme dei suoi maestri realizzando pupazzi ed eseguendo complessi numeri circensi.
Nell’adattamento italiano, la voce di Sarah è di Ilaria Stagni (voce ufficiale di Bart Simpson) e quella di Jareth è dell’ottimo Roberto Chevalier (doppiatore di Tom Cruise). Alcuni nomi sono stati (come sempre inspiegabilmente) modificati: per esempio, ‘Ludo’ è diventato ‘Bubo’, mentre ‘Hoggle’ è ‘Gogol’.
Maggio 4, 2012 venerdì at 12:24 pm
io ho attualmente 17 anni…il film l’ho visto per la prima volta a 8 anni e me ne sono innamorata…mi sono innamorata di quella visione fantastica di Sarah e ovviamente del fascina di David nei panni di Jareth….sono arrivata a tal punto di sapere a memoria nella loingua originale la scena quasi finale in cui jareth offre l’ultimo cristallo a Sarah….più volte piangendo per Jareth mi sono ripetuta che a mio parere ci sarebe dovuto essere un lieto fine per entrambi non solo per lei….ma posso solo dire che questo film è UN CAPOLAVORO! <3
Sono un po’ sorpreso perchè non pensavo che, con quel look così anni 80, il film potesse essere ancora così amato dai giovanissimi. Ma mi fa piacere che nonostante tutto resti attuale!