Heart of China
Il ricco magnate Lomax III assume un eroe della Grande guerra, il pilota di aerei da combattimento Jake ‘Lucky’ Masters, per un incarico a dir poco pericoloso: liberare la figlia Kate dalle grinfie del perfido e potente Li Deng. Per ‘convincere’ il giovane ad accettare, Lomax prende in ostaggio la sua compagnia di aerei import/export, offrendo poi un ingaggio di 200.000 dollari destinato a scalare progressivamente a ogni giorno di ritardo. Senza altra scelta se non quella di assecondare il riccone, Lucky parte all’avventura, non prima però di aver coinvolto nella missione il misterioso ninja Zhao Chi…
A un anno dal convincente “Rise of the Dragon”, la Dynamix e il suo autore Jeff Tunnell tornano a riproporre la propria interpretazione di adventure con “Heart of China”: pur modificando drasticamente il setting e il mood generale, infatti, il gioco segue il solco tracciato dal suo predecessore presentando non poche analogie con esso, in particolar modo riguardo al game design.
“Heart of China” conserva la visuale in prima persona e l’interfaccia di “Rise of the Dragon” ma, nonostante sia assente l’orologio che scandiva il progredire dell’avventura di Blade Hunter, il fattore temporale resta di cruciale importanza: questa volta lo scorrere del tempo viene però calcolato in base al numero di azioni e ai malus che vengono inflitti se si compie la scelta errata. È ancora possibile ‘perdere’ nei più svariati modi (specie in seguito a un dialogo andato storto) e il pericolo ‘vicolo cieco’ è dietro l’angolo (ma il gioco – abbastanza correttamente – spiattella il the endpoco dopo, senza far girare a vuoto per troppo tempo), ma diversi errori vengono invece puniti con una ‘perdita di tempo’ che fa diminuire il compenso finale del nostro Lucky e che, alla lunga, può condurre a un finale meno soddisfacente.
Così come in “Rise of the Dragon”, l’enfasi è quindi posta più sull’approccio giusto da adottare di fronte alle varie situazioni che sugli enigmi veri e propri (presenti in quantità trascurabile). Di conseguenza, il game-design spinge naturalmente verso l’esplorazione dei vari ‘bivi’ e la scoperta di metodi alternativi per risolvere alcuni enigmi e, nonostante esista un solo finale veramente positivo, l’impressione che le azioni del giocatore abbiano un qualche effetto nell’universo di gioco resta piuttosto riuscita.
In realtà, cambiamenti sostanziali di trama non sono previsti (se si escludono i vari ending), ma la sfida è sostanzialmente costituita dal cercare di ottenere lo scenario migliore ‘sprecando’ meno tempo possibile (e, quindi, ambire a un compenso più elevato) seducendo nel contempo il love interest di Lucky, la bella Kate Lomax.
A questo proposito, come già accennato, questa seconda produzione adventure della Dynamix propone un radicale cambio di registro narrativo, passando dalle atmosfere cupe del cyberpunk noir alla “Blade Runner” a un tono tipicamente ‘avventuroso’, più leggero e scanzonato, influenzato da quei movie serial degli anni ’30 che fornirono spunti anche alla serie di “Indiana Jones”. I personaggi principali (tre, tutti controllabili in certi frangenti) rispecchiano gli intenti iniziali, e così abbiamo l’eroe sbruffone ma simpatico, il sidekick serioso (un ninja… cinese?!) che innesca il classico gioco di opposti con il protagonista, e l’immancabile donzella in pericolo – ma emancipata – dalla lingua pungente.
La scrittura (di David Altman, Tom Brooke e David Selle, quest’ultimo già al lavoro in “Rise of the Dragon”) si assesta su livelli medi grazie soprattutto a un’ironia generalmente riuscita e ai confronti fra protagonisti. Sebbene la direzione della trama resti fondamentalmente prevedibile lungo tutta la sua durata, sono assenti le cadute di tono che erano invece riscontrabili nel titolo precedente. Si tratta naturalmente di un intreccio di poche pretese e mai davvero entusiasmante, ma appare piacevole nella sua semplicità.
L’ambiente esplorabile, contrariamente a quanto avveniva in “Rise of the Dragon”, è sempre estremamente ridotto, e l’avventura procede proponendo sezioni a camere stagne: in compenso, però, la storia non è ambientata in una sola città ma propone diversi spostamenti in località esotiche in linea con il contesto avventuroso.
Da lodare lo sforzo grafico, che questa volta può contare su attori in carne e ossa (ritratti attraverso ‘frame’ fotografici): sebbene per motivi di budget gran parte del cast sia stato reclutato fra membri e famigliari del team Dynamix (!), la soluzione appare coraggiosa e in anticipo sui tempi.
Infine, le musiche suonano ben contestualizzate, ma un po’ ripetitive. Da segnalare anche un paio di sequenze arcade, una delle quali realizzata in un dozzinale – ma avveniristico – full 3D, di difficoltà particolarmente elevata (comunque, è stata inclusa la possibilità di skipparle).
Il secondo film interattivo della Dynamix fissa e amplia l’idea di adventure partorita dagli autori, i quali non rinunciano comunque a un pizzico di ulteriore sperimentazione e a una modifica totale del mood narrativo, rivelandosi uno dei team più interessanti dei primi anni del ’90.
La citazione:
Lucky: Il mio nome è Jake Masters. Tutti mi chiamano ‘Lucky’.
Chi: Che cosa vuoi, Jake Masters?
Lucky: Lucky (= fortunato).
Chi: Questo è tutto da vedere.
Nota: Il gioco è ben emulato da DOSBox.
Dicembre 27, 2012 giovedì at 11:00 pm