Dreamweb
Ryan, un barista che lavora in una città sporca e malandata, è perseguitato da strani incubi che lo portano costantemente sull’orlo della follia. In uno di essi, un misterioso monaco incappucciato gli comunica che è a rischio l’esistenza stessa del ‘Dreamweb’, la tela che stabilizza i sogni e funge da barriera fra il mondo reale e le tenebre: il Custode, che investe il giovane del ruolo di Messaggero, gli spiega che sette individui malvagi sono in procinto di rompere quel fragile equilibrio, ed è compito suo assassinarli prima che diventino troppo potenti.
Ryan accetta il solenne incarico senza alcuna esitazione, e si prepara ad assolvere il suo compito.
Esaminare “Dreamweb” (Creative Reality, 1994) può essere estremamente complesso. Considerato un cult dalla difficile fruizione, l’avventura di Neil Dodwell risulta ancora oggi una mosca bianca nel suo genere: attraverso la sua unicità è possibile osservare una fortissima carica autoriale che, molto spesso, si traduce in una serie di scelte alternative che possono compiacere – o, paradossalmente, infastidire – il giocatore.
Il primo elemento che salta all’occhio è senza dubbio la particolare visuale adottata (a ‘volo d’uccello’), ottima nel trasmettere quel senso di oppressione che – letteralmente! – ‘schiaccia’ il protagonista, ma che di fatto penalizza parecchio l’impatto grafico e in più impedisce anche di scorgere i tratti somatici dei personaggi. Si possono comunque conoscere le fattezze di Ryan grazie a un’immagine che lo ritrae posta alla sinistra della (curiosamente) ridotta area di gioco.
Non si impiega molto per comprendere anche che l’orgia di hotspot di cui si è circondati conduce a descrizioni degli oggetti molto dettagliate che riescono a rappresentare efficacemente l’universo di gioco alla maniera delle interactive fiction (non a caso cliccando sull’occhio del protagonista si ottiene una sorta di look room che dà un’idea generica della locazione in cui si trova).
La sovrabbondanza di oggetti, caratteristica peculiare ma non necessariamente spiacevole, è però funestata da un’interfaccia molto lenta e soprattutto da un numero esiguo di slot dell’inventario, che in effetti proibisce di raccogliere tutto ciò che si trova in giro e costringe a una selezione accurata.
Dopo poco è possibile accorgersi che la difficoltà del gioco consiste proprio nell’indovinare gli item veramente utili per affrontare gli enigmi, i quali – pur presentandosi generalmente semplici – vengono resi artificiosamente frustranti dai limiti dell’inventario.
Il numero spropositato di hotspot, la visuale dall’alto e le ridotte dimensioni del riquadro di gioco rendono molesto il frequente e scorretto ricorso al pixel hunting: a poco serve lo zoom automatico posto in basso a sinistra, giacchè riesce solo a sgranare ulteriormente i grossi pixel di cui è composta la grafica.
Come si è intuito, la resa visiva di “Dreamweb” si dimostra estremamente peculiare, ed è facile sentire pareri opposti sulla sua efficacia. C’è comunque da segnalare una folta serie di animazioni e una certa capacità dei grafici nel rendere l’atmosfera – dagli echi cyberpunk – oscura e asfissiante. La partitura musicale fornisce un buon supporto grazie a un mood à la Vangelis probabilmente inevitabile ma in ogni caso funzionale, benché il numero di brani appaia piuttosto esiguo.
L’intero afflato narrativo merita un discorso a parte. Gli autori costruiscono un contesto distopico e una trama che centra l’intento di apparire disturbante: il protagonista stesso è un personaggio di difficile interpretazione, una sorta di automa obbediente che compie efferati omicidi mai pienamente giustificati. In nome di una missione consegnata dai non meglio identificati Custodi del Dreamweb, Ryan è mosso unicamente dall’importanza dell’obiettivo e durante l’avventura non manifesta mai rimorsi o momenti di indecisione.
Una lettura del suo diario – il ‘Diary of a (Mad?)Man’ allegato al gioco, utile anche in un paio di enigmi – sembra descrivere una personalità psicologicamente devastata e gli indizi lasciano pensare che l’intera ‘missione’ non sia altro che un parto della sua mente depravata. Lo spunto è senza dubbio interessante ma la trama lineare rinuncia a qualsiasi sorpresa e non approfondisce mai del tutto quell’aspetto che avrebbe potuto fare la differenza, lasciando inoltre poco sviluppati altri elementi (in effetti, non è mai davvero chiaro neanche cosa sia esattamente il Dreamweb).
Per entrare più nel dettaglio, l’impressione è che gli autori si siano fatti sfuggire via un punto cruciale. Durante il gioco vero e proprio, infatti, nulla – o quasi – fa pensare che si stia assistendo a eventi resi distorti da una mente malata: i bersagli tendono a essere effettivamente animati da impulsi malvagi, le paure dei Custodi sembrano trovare riscontro nel mondo reale e Ryan appare come l’unico in grado di opporsi al male. Nel corso dell’avventura, il potenziale intravisto attraverso la lettura del diario è utilizzato in maniera superficiale, mettendo in scena ambienti perfetti per rappresentare gli intenti iniziali che però successivamente vengono smentiti o quantomeno ignorati.
Soltanto l’etichetta di ‘cult’ può far chiudere un occhio di fronte alle magagne di “Dreamweb”. L’ambizioso piccolo gioco dei Creative Reality non ambisce a essere divertente, ma mira a creare un sentimento di angoscia che solo una mente disturbata può generare: gli obiettivi sono interessanti e supportati adeguatamente, ma l’esecuzione presenta molti margini di miglioramento.
La citazione:
(dal Diary of a (Mad?)Man)
Il mio nome è Ryan. Io sono il Salvatore. Io sono l’esecutore. Il cacciatore dei Sette.
Nota:
Il gioco è ben emulato da ScummVM e dal 2012 è disponibile come freeware (per esempio su Zodiac). Esiste anche una versione talkie con voci in inglese e sottotitoli in italiano, la quale, purtroppo, allo stato attuale non è emulata correttamente.
Luglio 12, 2013 venerdì at 8:29 pm