videogiochi


Rise of the Dragon

All’interno di una buia e sinistra Los Angeles del 2053, la figlia del ripugnante sindaco Vincenzi è trovata morta in circostanze poco chiare: il primo cittadino assume quindi il detective privato William ‘Blade’ Hunter per indagare sul caso. Armato di una semplice pistola e dell’immancabile impermeabile marrone, Blade porterà alla luce un traffico di droga gestito dalla Mafia Cinese, dietro cui si cela un misterioso personaggio la cui vera natura potrebbe non appartenere a questo mondo.

Anno 1990. Lo stile Lucas non ha ancora riscritto definitivamente le regole dell’avventura grafica, e diverse software house sono libere di proporre la propria ‘interpretazione’ del genere. La Dynamix, già nota per titoli come “Mechwarrior” e “Red Baron”, viene acquisita dalla Sierra On-Line e si offre di dire la sua con un gioco a suo modo sperimentale che getta alcune basi che l’azienda avrebbe ripreso anche nelle future produzioni. (altro…)

Innocent Until Caught 2: Guilty

Tempi duri per Jack T. Ladd: durante un disperato – e demenziale – tentativo di furto (rubare da un camion del latte), il giovane ladruncolo viene colto in flagrante dalla tenace Ysanne Andropath, agente della polizia federale galattica, e condotto in manette sulla sua astronave. Nessuna cella, però, può tenere a bada il nostro Jack, che in poco tempo riesce a evadere; Ysanne, nel frattempo, svela una minaccia aliena proveniente da un remoto pianeta. Ai due non resterà quindi che siglare un’alleanza forzata e temporanea al fine di sventare il pericolo, cercando nel frattempo di ripulire, a uno a uno, gli altri pianeti in difficoltà.

Tentare di racimolare qualche entrata facile proponendo un sequel di un titolo di successo è la strategia preferita di molti produttori. “Innocent Until Caught” non era stato una hit irrinunciabile, ma si trattava di un’avventura spensierata e rassicurante che riusciva a divertire senza troppe pretese. È però con un approccio eccessivamente ‘di comodo’ che i Divide by Zero (con Andy Blazdell di nuovo a capo del progetto) si sono avvicinati a “Guilty: Innocent Until Caught 2” (anno 1995): nonostante qualche miglioria tecnica (ben poche, a dire il vero), il gioco risulta infatti un prodotto poco ispirato e tutt’altro che necessario, che perde il confronto anche con il – comunque non eccezionale – predecessore. L’impressione generale è che gli autori abbiano cercato di confezionare un prodotto in fretta e furia per far facilmente cassa in vista di un titolo più ambizioso (“The Orion Conspiracy”), curando alla bell’e meglio i vari aspetti.
Ma andiamo con ordine. (altro…)

Innocent Until Caught

Il simpatico ladro Jack T. Ladd, durante un viaggio di routine con la sua nave spaziale rubata, viene beccato dal temutissimo fisco che gli impone di pagare tutti i suoi debiti: la condanna consiste in una lunghissima serie di torture, la morte e la vendita di organi (non necessariamente in quest’ordine). Atterrato sulla luna di Tayte, Jack dovrà rapidamente trovare un lavoro (poco importa se legale o meno) per saldare il seccante debito. Sulla sua strada, però, troverà approfittatori senza scrupoli, dittatori fanatici, sgraditi nuovi amici e perfino l’amore.

Innocent Until Caught” è un’avventura sviluppata dalla Divide by Zero (con a capo Andy Blazdell) ed uscita sotto etichetta della gloriosa Psygnosis nel 1993.
L’ambientazione è futuristica e pesantemente sci-fi, mentre il tono è irriverente/demenziale – un mix molto raro nel mondo dei videogiochi, ma in questo caso si può dire che sia grosso modo riuscito: a situazioni crude e talvolta anche violente (sulla sporca e malfamata Tayte regna la criminalità) si contrappone un’impostazione molto sopra le righe, con dialoghi sempre umoristici e numerose scenette comiche.
Il target di pubblico a cui si rivolge l’avventura è, comunque, piuttosto adulto: frequenti appaiono infatti le allusioni e i riferimenti sessuali, che restano comunque nei limiti del buon gusto ma indirizzano lo humor verso uno stile più ‘da caserma’ che può essere fruito appieno dai più maturi. Il protagonista, Jack, racchiude un po’ tutte queste caratteristiche: è un uomo che non guarda in faccia a nessuno, egoista e pronto a giocare sporco per arrivare al suo scopo, che sia l’amore, il denaro o la semplice sopravvivenza. È un tipo anche alquanto furbo e navigato, anche se, purtroppo per lui, molto sfortunato. (altro…)

Simon the Sorcerer 3D

L’elemento più caratterizzante di “Simon the Sorcerer 3D” risiede senza dubbio nella sua storia produttiva: avrebbe dovuto essere edita come un’avventura con grafica in due dimensioni, ma a cose praticamente pronte si decise di adattare il tutto a un motore 3D che rispettasse le nuove esigenze del mercato. Il risultato? Un disastro. I programmatori (con a capo ancora la coppia Woodroffe senior e junior), palesemente a disagio con la modifica e con i tempi strettissimi, realizzano infine un gioco afflitto da bug, imprecisioni e, per giunta, molto brutto da vedere.

La trama. Avevamo lasciato il nostro eroe nei guai: al termine della seconda avventura, il super-cattivo Sordid si era impossessato del corpo di Simon con l’intenzione di – tuoni e fulmini – conquistare il mondo. Dopo alcune diaboliche macchinazioni, Sordid, nel corpo del maghetto, decide di trasferire la sua anima in un corpo robotico per mettere in atto la parte finale del suo piano grazie all’aiuto del suo fido assistente, Runt. Accade però che il corpo senza anima di Simon viene recuperato da un’eroina, la conturbante Melissa Leg, e portato dallo stregone Calypso per farlo tornare in vita: il vecchio mago attira-guai ha infatti bisogno di Simon per recuperare Paludoso, un’antica conoscenza che si rivelerà decisivo nella nuova battaglia contro il perfido Sordid. (altro…)

Daughter of Serpents

Appena sbarcato nell’Alessandria degli anni ’20, il protagonista di “Daughter of Serpents” assiste a una scena a dir poco agghiacciante: un passeggero turco viene assassinato da un misterioso assalitore che, freddato a colpi di pistola dalla polizia, si trasforma in una creatura simile a un rettile. Fra spaccio di droga, contrabbando di reperti archeologici e bellezze esotiche, il nostro eroe si trova coinvolto in una vicenda strettamente legata all’omicidio, che condurrà anche all’evocazione di semidèi con le manie di grandezza.

Edito nel 1992 e successivamente ripubblicato in versione cd talkie con il nome di “The Scroll”, “Daughter of Serpents” è un titolo difficilmente incasellabile. Il prodotto di Richard Edwards e Chris Elliot (Eldricht Games) ripesca alcune idee dal loro precedente lavoro, l’avventura testuale “The Hound of Shadow”, come gli elementi lovecraftiani e l’ambientazione di inizio Novecento: l’analogia più importante riguarda però la minuziosa personalizzazione del protagonista, che va dai dettagli anagrafici fino alla selezione di alcune fra le oltre venti specializzazioni previste (fra cui investigazione, egittologia, occultismo e tanto altro). Tale feature è la base attorno a cui ruota l’idea di film interattivo di “Daughter of Serpents” e, sebbene sulla carta appaia interessante, l’idea risulta in realtà proposta in forma eccessivamente vaga e frammentaria, costringendo il giocatore a scelte troppo dettagliate chiedendosi, di fatto, cosa cambi fra una sotto-specializzazione e l’altra (il processo di editing verrà poi estremamente semplificato nella versione cd “The Scroll”, riducendo la scelta a sole due professioni). (altro…)

Gemini Rue

Il giocatore che si avvicina a “Gemini Rue” è probabilmente già preparato al primo impatto. Sa che si tratta di un’avventura grafica dallo stile classico realizzata da un solo autore (Joshua Nuernberger), sa che è stata autofinanziata con un budget ridottissimo, sa che presenta una grafica in due dimensioni che ammicca ai gioielli del passato. È facile che si inneschi quindi una forte ‘simpatia’ nei confronti del progetto e una certa benevolenza nel trattare gli aspetti tecnici (molto comune – e spesso eccessiva – quando si tratta di titoli indie), con la conseguente maggiore attenzione agli aspetti meno superficiali.
Niente di più sbagliato. Chiudere un occhio di fronte ai difetti oggettivi in virtù della natura a basso budget del titolo in questione sarebbe ingiusto. Alzare la bandiera della scelta di stile se i modelli dei personaggi appaiono così pixellosi, perdonare una risoluzione estremamente bassa, un’interfaccia imbolsita e una generale scarsezza di location sarebbe poco onesto nei riguardi di qualsiasi titolo commerciale.
Meglio quindi criticare apertamente i punti a sfavore? Sì, così si finirà per restare sorpresi di fronte alla vera bellezza di “Gemini Rue”. (altro…)

A New Beginning

In un futuro devastato da una serie di catastrofi ecologiche, una squadra viene invitata indietro nel tempo per fermare lo scoppio di una centrale nucleare in Brasile, responsabile di una terribile reazione a catena che porterà al disastro climatico. Ben presto l’intera missione finisce per dipendere dalla giovane radio-operatrice Fay e da Bent Svensson, uno scienziato del passato che ha ideato una nuova forma di energia pulita capace di soppiantare qualsiasi alternativa e porre fine alla minaccia. Il carattere burbero e demotivato di Bent e l’appassionato idealismo di Fay si confronteranno a lungo prima che i due uniscano le forze contro un nemico comune, un magnate senza scrupoli deciso ad arricchirsi a scapito della salute del pianeta.

Dopo “The Whispered World”, la Daedalic torna nel 2010 con un titolo giunto sul mercato dopo diversi anni di sviluppo (il primo annuncio risale al 2007 con il titolo di “Earth: The Beginning”). Una gestazione probabilmente travagliata che trascina con sé i medesimi difetti tecnici del titolo precedente, come l’aspect ratio di 4:3 in un mondo dominato da monitor wide, risoluzione bloccata e tanti, troppi bug legati all’engine, con qualche crash e diversi glitch.
Ancora una volta gli autori (questa volta capeggiati dal co-gamedesigner di “The Whispered World” Jan Müller-Michaelis e da Kevin Mentz) optano per il look cartoon, in questo caso però applicato a personaggi umani e non di fantasia come invece avveniva nelle vicende di Sadwick. Il risultato è estremamente bello da vedere quando la grafica è ferma, ma in movimento vengono alla luce nuovamente le stesse imperfezioni del predecessore, come i pochi frame per le animazioni e i fondali poco ‘vivi’. Il sistema si rivela ancor meno adatto a rappresentare movenze umane, e il problema finisce per risaltare maggiormente. (altro…)

Simon the Sorcerer II: The Lion, the Wizard and the Wardrobe

Reincarnatosi in via provvisoria all’interno di un corpo robotico, il perfido stregone Sordid medita vendetta verso chi l’ha precedentemente sconfitto, il maghetto teenager Simon. Con l’aiuto di un malefico ragazzino, Runt, Sordid richiama il suo antagonista dal mondo reale attraverso un guardaroba magico. Purtroppo per lui, però, qualcosa va storto, e Simon finisce per materializzarsi proprio accanto al negozio di Calypso, il mago buono che aveva salvato nella precedente avventura… (altro…)

Simon the Sorcerer

Interpretare il mercato, rifarsi a filoni consolidati e scovare i punti di forza dei capostipiti è un approccio tanto semplice quanto redditizio per realizzare un videogioco di buon successo: è esattamente questa la sensazione che si prova durante i primi minuti di “Simon the Sorcerer”. Il modello ispiratore è, naturalmente, quel lucasiano “The Secret of Monkey Island” che scosse il mondo videoludico e che condusse a tanti presunti ‘eredi’, tanti tentativi di cavalcare l’onda, tanti esempi – anche recenti – di replicarne l’umorismo e il gameplay.
Cos’è che il gioco dell’Adventure Soft possiede in più della sequela di cloni che ha provato a riprodurre l’inconfondibile ‘tocco Lucas’? La risposta giunge praticamente subito, e precede anche l’intuizione secondo cui, sotto la scorza, il titolo mostri tutto sommato una sua precisa identità: “Simon the Sorcerer” è maledettamente divertente. (altro…)

Portal

All’interno dei misteriosi laboratori Aperture Science, la giovane Chell si risveglia in una camera di stasi. Un’intelligenza artificiale – di nome GLaDOS (Genetic Lifeform and Disk Operating System) – le comunica attraverso gli altoparlanti che si trova in quel posto per affrontare dei test: all’interno di alcune ‘camere’, la ragazza sarà costretta a sperimentare l’avveniristica tecnologia dei portali, fiore all’occhiello della Aperture Science. GLaDOS insiste nel promettere una gustosa torta che attende Chell alla fine del percorso, ma qualcosa nei suoi discorsi e gli oscuri messaggi scritti sulle pareti lasciano intuire che la realtà sia ben diversa…

Realizzato da un piccolo team di una decina di persone, ed edito nel 2007 come extra nella ‘The Orange Box’ (comprendente anche “Half-Life 2”, “Half-Life 2: Episode One” e “Half-Life 2: Episode Two”) e sul portale di digital delivery Steam, “Portal” è la concreta dimostrazione di come una realizzazione intelligente e tante buone idee possano fare la differenza. Il gioco si propone come una sorta di seguito spirituale di “Narbacular Drop”, un titolo freeware nato come progetto universitario nel 2005 presso la DigiPen. La stessa squadra (assorbita sotto l’etichetta Valve) ha quindi lavorato in seguito a “Portal” conservando il medesimo concept: guidare il personaggio lungo una serie di camere da affrontare creando dei ‘portali’, posizionabili sulle pareti in modo tale da superare gli ostacoli contenuti nelle room.
Qualcosa del genere, sebbene adoperata in modo differente, si era anche vista nello sparatutto “Prey” (2006), ma è proprio con “Portal” che lo spunto raggiunge il suo reale potenziale. (altro…)

Alan Wake

Alan Wake è un romanziere di grande successo. Colto dall’immancabile ‘blocco dello scrittore’, decide di rifugiarsi in cerca di ispirazione nella semplice cittadina di Bright Falls, Washington, portando con sè la sua compagna – nonché musa – Alice. Una sera, però, strani eventi cominciano a verificarsi nel cottage nel quale la coppia dimora e, nel tentativo di salvare la moglie dall’annegamento, Alan si risveglia in quello che sembra essere un incubo, nel quale la città è inondata da una Presenza Oscura che ha posseduto gran parte degli abitanti. Fra immaginazione e realtà, Alan deve combattere l’oscurità della spettrale Bright Falls con l’unica arma che possiede: la luce.

Incompleto. È questo il termine che meglio può definire “Alan Wake” (2010) della Remedy Software, la software house finlandese che nel 2001 aveva già lasciato la sua impronta nella storia videoludica con l’icona “Max Payne”. Dopo circa sei anni di gestazione, il nuovo progetto appare più volte come un’ombra di ciò che avrebbe dovuto essere, un azzardo che forse la piccola Remedy non è riuscita a sostenere, facendo il passo più lungo della gamba. (altro…)

Max Payne

Dal momento in cui la tecnologia l’ha permesso, molti designer di videogiochi hanno tentato di replicare su PC o console alcuni punti peculiari del cinema: regia, scenografia, montaggio. In un gioco interattivo, uno degli aspetti più squisitamente goderecci da riprodurre è da sempre stato la spettacolarità delle pellicole d’azione, poiché il ruolo – videoludico – da protagonista è capace di rendere il tutto ancora più immersivo e coinvolgente.

Il titolo in oggetto appartiene proprio a quel filone di titoli particolarmente influenzato dal cinema action, in particolare da quello hongkonghiano lanciato e perfezionato dal regista John Woo. Colombe svolazzanti a parte, i lungometraggi di Woo (soprattutto nel periodo pre-hollywoodiano) si sono sempre distinti per l’estrema grandiosità delle sequenze di sparatorie, delle ‘danze acrobatiche’ farcite da momenti al rallentatore, scontri impossibili e scenari che vanno in pezzi: una vera e propria ‘poetica dell’azione’, il cui punto di forza non risiede nella violenza (comunque presente in maniera più o meno evidente), ma nel puro piacere visivo. “The Killer”, “Hard Boiled” e la trilogia di “A Better Tomorrow” restano gli esempi pilastro in tal senso. (altro…)

Black Mirror, The

La tetra e un po’ diroccata magione dei Gordon, il castello di Black Mirror, è in lutto: William Gordon è morto cadendo dall’antica torre in piena notte. Tutta la famiglia è convinta che si sia trattato di un malaugurato incidente.
Non è dello stesso parere il nipote del defunto, Samuel (rimasto a lungo tempo lontano da casa), il personaggio che interpreteremo nel gioco. Durante le sue indagini scopriremo una fitta rete di intrighi e segreti che coinvolgono la famiglia dei Gordon, non ultima una terribile maledizione.

Sviluppato dalla Future Games e scritto da Zdeněk Houb, “The Black Mirror” è un’avventura grafica classica in terza persona approdata con solito ritardo in Italia (2004).
L’interfaccia punta&clicca permette un’interazione semplice e immediata con l’ambiente circostante: il cursore si illumina quando passiamo su un hot spot così da permetterci di esaminarlo, raccoglierlo o usarlo con il tasto sinistro del mouse. Solo in alcuni casi, e cioè quando è possibile compiere più di un’azione, useremo anche il tasto destro.
L’inventario a scorrimento è posizionato in basso allo schermo, mentre delle icone indicano gli argomenti sui quali discutere durante le numerose conversazioni del gioco. (altro…)

Black Mirror III

L’ultimo erede dei Gordon, Adrian, è messo agli arresti con l’accusa di omicidio, ma i guai con la giustizia non sono che la punta dell’iceberg: oramai la sua volontà è spesso schiava di Mordred, il perfido antenato che ha dato il via alla maledizione. Con il castello di Black Mirror in fiamme e una famiglia, un tempo numerosa, ridotta a una sola unità, Adrian deve affrontare il Male e sconfiggerlo una volta per tutte.

È possibile racchiudere la sintesi dei problemi di “Black Mirror III” (2011) in una sola sentenza: il malsano ma irresistibile fascino per le trilogie. La Cranberry infatti realizza un titolo sviluppato con competenza che rappresenta degnamente ciò che ci si aspetta da un lavoro ben curato: purtroppo, però, l’avventura stenta a trovare una vera ragione di esistere a causa di una sceneggiatura esageratamente povera che si trascina stancamente lungo le (tante) ore di gioco (circa 15). (altro…)

Future Wars

Correva l’anno 1989, il Commodore 64 aveva iniziato il proprio declino, l’Amiga dominava il mercato, seguito dall’Atari ST, e i PC non erano ancora le macchine da gioco che oggi conosciamo. Non si erano ancora conclusi i dorati anni ’80, la Sierra aveva già sfornato un numero considerevole di avventure – è vero – ma il genere delle avventure grafiche punta e clicca come lo conosciamo oggi era ancora giovane, praticamente neonato: la Lucasfilm Games aveva sconvolto il mondo con “Maniac Mansion” e “Zak McKracken”, e… nulla più.
In questa stagione pionieristica, la Delphine Software, casa francese divenuta poi piuttosto prestigiosa, diede a Paul Cuisset la chance di realizzare il proprio sogno creativo, ovvero scrivere e programmare un’avventura grafica in piena regola, tra l’altro una delle primissime in Europa: “Future Wars”. Inoltre, se dobbiamo credere alle dichiarazioni ufficiali, Cuisset aveva iniziato nel 1986 a progettare un suo sistema, chiamato Cinématique, per trasformare le avventure testuali in avventure… grafiche, un nuovo tipo di interfaccia che non richiedeva più l’inserimento di comandi di testo e che immergeva il giocatore nell’ambiente di gioco. Una rivoluzione cui proprio in quell’anno si stava apprestando anche la Lucas con “Labyrinth”, per C64, mentre all’orizzonte si profilava il sistema SCUMM, il primo ad avvicinarsi a quell’obiettivo.
Quello descritto è uno scenario del quale è impossibile non tenere conto nel formulare un giudizio su questo pezzo di storia del software, i cui difetti, giudicati col senno di poi, alla luce della smaliziata consapevolezza di cosa una buona avventura grafica debba essere, appaiono gravi e imperdonabili: all’epoca, invece, un prodotto come questo lasciava sorpresi, emozionati e appagati.
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Simon the Sorcerer 4: Chaos Happens

Che dietro la pessima grafica, le brutte sequenze pseudo-arcade e le centinaia di imperfezioni tecniche si nascondesse il miglior episodio della serie dedicata allo scorrettissimo mago teenager era una verità sfuggita a molti: “Simon the Sorcerer 3D” fu un gioco che gli avventurieri preferirono ignorare, e di certo la cosa non fece navigare in buone acque la povera Headfirst Productions (ex AdventureSoft) di Mike e Simon Woodroffe, capace nel suo percorso travagliato di sfornare solo un altro titolo (“Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth”) prima di dichiarare definitivamente bancarotta nel 2006.
Ma, si sa, le software house vanno e vengono ma i brand sono immortali, e così i diritti sulle nuove avventure di Simon vennero acquistati dalla tedesca RTL che incaricò i Silver Style (con a capo il project leader Carsten Strehse) di sviluppare un nuovo capitolo (uscito poi nel 2007) che facesse dimenticare il mezzo passo falso compiuto dalla serie. (altro…)

SPOILER ALERT

      Data la natura di approfondi- mento degli articoli inclusi in questo sito, è piuttosto semplice incappare in diversi spoiler (comprese delle anticipazioni sul finale dei titoli trattati). Se siete in cerca di recensioni più classiche e spoiler free, fiondatevi su Adventure’s Planet.

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