Atlantis: Segreti d’un Mondo Perduto
Con l’aumento della potenza di calcolo delle macchine da gioco, i produttori potevano finalmente permettersi ardite soluzioni grafiche che attirassero il videogiocatore tipo quanto il fruitore casuale. In particolare, l’uso di spettacolari filmati precalcolati garantiva un impatto notevole, senza troppi sforzi per gli sviluppatori.
La casa francese Cryo Interactive, durante l’intero arco degli anni ’90, sfruttò appieno questo trend: a risultati discreti o quantomeno curiosi (“Dune”), però, si contrapponevano tentativi dimenticabili (“Lost Eden”, “Megarace”).
“Atlantis: Segreti d’un Mondo Perduto” (1997) cerca di collocarsi nel mezzo, proponendo – almeno negli intenti – una veste grafica di qualità e un gameplay intrigante. Capo progetto è Rèmi Herbulot, creatore stesso della Cryo insieme a Jean-Martial Lefranc e Philippe Ulrich, e autore e produttore di molti titoli della software house.
Sullo sfondo della mitica Atlantide, impersoniamo Seth (sic!), un giovane facente parte dell’ordine dei Compagni della Regina. Deciso a diventare una delle sue guardie, approda sul Continente Perduto solo per scoprire che la regina è scomparsa. Grazie a un altro Compagno, Agatha, Seth apprende che il console della regina, Creon, è in qualche modo implicato nella sparizione della sovrana: suo obiettivo è infatti allearsi con la divinità del Sole, Sa’at, e rovesciare la Regina in carica, associata alla consorte di Sa’at, Ammu, dea della Luna. Da lì a poco Seth scoprirà che, attraverso una nuova e misteriosa arma, Creon ha intenzione di conquistare prima Atlantide e poi le altre nazioni della Terra.
Con l’aiuto di Agatha e di un anziano pescatore, Seth decide di svelare e fermare il complotto, ma la sua strada sarà più lunga e pericolosa del previsto…
Per i tempi, l’aspetto grafico di “Atlantis” sfiora l’imponenza: una delle tecnologie sviluppate dalla stessa Cryo, l’OMNI 3D, permette la rotazione a 360 gradi dell’ambiente (visto attraverso gli occhi di Seth), con un risultato simile a quello ottenuto con il Quicktime VR: la visuale assicura un’immersione convincente, benché il 3D sia effettivamente ‘falso’ (non ci si sposta liberamente nella scena, si è vincolati a punti prestabiliti da cui, in effetti, si osserva una composizione di immagini bidimensionali prerenderizzate).
La transizione fra un punto e l’altro avviene (nei tratti più lunghi o più evocativi) tramite brevi sequenze video in 3D precalcolato ben realizzate, la cui nitidezza di immagine supera quella delle schermate statiche, rivelando forse l’immaturità della nuova tecnologia.
I personaggi, quando ripresi in terza persona, sono realizzati interamente in 3D poligonale ma appaiono dotati di pochissime animazioni. Numerosissime le cutscene, causa principale della gran mole di dati del gioco, contenuto in ben 4 CD.
Tale dispendio di risorse si tramuta in un impatto grafico di grande effetto. O, almeno, era ciò che accadeva ai tempi dell’uscita: oggi, infatti, “Atlantis” appare come un gioco invecchiato assai male e difficilmente si può restare stupiti di fronte al 3D zoppicante e ai mediocri personaggi poligonali (nonostante le animazioni siano realizzate in motion capture, i modelli sembrano dei veri e propri burattini colti da crisi epilettiche). La verità è che manca un’impronta vagamente interessante alla grafica, che si riduce solamente a uno sfoggio di tecnologie ormai ampiamente sorpassate. Assente inoltre qualsiasi tocco visionario di rilievo sia dentro che fuori la Città Perduta: il tutto si riduce a paesaggi spogli dall’architettura vagamente romano-cretese, privi di alcuna reale inventiva.
È anche possibile affermare che non è presente quasi alcuna traccia di uno stile che in qualche modo tenga presente le ricerche accumulate nel tempo sul mito di Atlantide, facendo sembrare la scelta dello scenario più una mossa ‘furba’ che una reale necessità di trama (sembra comunque che alcuni simboli sparsi in giro rimandino alle Tengwar, alfabeto ideato da Tolkien per “Il Signore degli Anelli”).
Si salvano parzialmente alcuni esterni, comunque piuttosto ripetitivi, e il design del velivolo utilizzato da Seth durante i suoi numerosi viaggi.
La colonna sonora, affidata ai fidi Stephane Picq e Pierre Estève, si lascia ascoltare e ricordare piacevolmente, benché sia composta da pochi brani, alcuni dei quali replicati fino alla nausea (un esempio è il comunque buono main theme), e tutta una serie di semplici musiche ambientali. La partitura, in ogni modo, si è potuta fregiare di una commercializzazione dell’album ufficiale contenente 100 minuti (!) di ascolto: raro già nel ’97, oggi risulta praticamente introvabile (ma se proprio non resistete, fate un salto a questo link).
Discreta la recitazione delle (poco variegate) voci in italiano.
Sulla trama non c’è molto da dire. A essere onesti, la sceneggiatura è abbastanza ricca: purtroppo, però, fra freddi personaggi monodimensionali e dialoghi risibili, non lascia minimamente il segno. La sgradita impressione è che il tono sia fin troppo serioso in più di un’occasione, lasciando l’ironia confinata in rarissime battute o nell’intera sequenza sull’isola di Para Nua (peraltro poco riuscita). Il povero Calvetti (voce di Guybrush in “The Curse of Monkey Island”) fa del suo meglio, ma caratterizzare l’insipido Seth si rivela, suo/nostro malgrado, un’impresa disperata.
L’intreccio assume, sul finale, un tono fantasy che non si adatta particolarmente alla vicenda. Non manca poi uno scontro finale ai limiti del demenziale, con tanto di labirinto e minotauro (?) a presidiarlo.
La giocabilità, tipico tallone di Achille della Cryo, non eccelle. Innanzitutto, l’interfaccia può risultare scomoda, in quanto è assente un ‘mirino’ che segnali il centro dello schermo (compare solo quando il cursore invisibile rileva un hotspot). Il difetto diviene ancora più rilevante durante la banale esplorazione degli ambienti.
Gli enigmi sono fondamentalmente divisi in tre tipi: utilizzo dell’oggetto giusto e puzzle dialogati (le scelte vengono effettuate attraverso icone di conversazioni poco esplicative), rompicapi di logica in prima persona, sequenze a tempo. Mentre gli enigmi del primo tipo si contano sulle dita di una mano, sono molto numerosi quelli del secondo e del terzo.
Nel dettaglio, appaiono generalmente buoni i puzzle di logica a tutto schermo, ma risultano ripetitive e a tratti molto frustranti le sequenze semi arcade. Ciò che è peggio è che l’avventura è piena zeppa di pericoli, spesso gratuiti: momenti a tempo, piccoli duelli, fughe e quant’altro… a volte basta molto poco (perfino girare lo sguardo nella direzione sbagliata) per far scattare il game over. Decisamente esagerato.
Da galera il sistema di salvataggio basato su checkpoint: inizialmente può perfino sembrare ben realizzato, ma dal secondo cd il castello di carte cade inesorabilmente nel momento in cui ci si accorge di dover ripetere intere sequenze solo a causa di un insignificante passo falso. La monotonia si ripresenta in tante altre occasioni, e spesso fa capolino la tentazione di mandare tutto al diavolo di fronte all’ennesima – laboriosa – attivazione di un congegno necessario ad aprire la solita porta. Non manca poi l’inventivo, originale ed estremamente stimolante (aehm) ‘gioco del 15’, questa volta riproposto per almeno tre volte (poveri noi).
Va anche citata brevemente la sezione ‘tiro con l’arco’, assurdamente complessa da portare a termine, ma che rappresenta un ottimo test di pazienza per un monaco tibetano.
Se comunque escludiamo le ripetizioni e le lungaggini, “Atlantis” a tratti scorre piacevolmente: alcuni puzzle di logica sono quantomeno simpatici, e le piccole sequenze arcade – di tanto in tanto – risultano adrenaliniche quanto basta per rendere varia l’avventura.
Gli aspetti negativi sono molti, ma nessuno di essi è così tremendo da causare la resa del giocatore.
“Atlantis: Segreti d’un Mondo Perduto” non ha superato adeguatamente la prova del tempo: la grafica – allora all’avanguardia – non è più abbastanza per mascherare la scarsa profondità di un prodotto poco convincente sotto quasi tutti i punti di vista. Va dato il merito, comunque, di aver dato il via ad una saga (particolarmente longeva) che ha mostrato qualche idea interessante.
La citazione:
La conoscenza, a volte, è paragonata al fuoco. Cosa sarebbe l’umanità senza di essa?
Maggio 25, 2013 sabato at 11:40 pm