Assassin’s Creed

Nell’anno 2012, il giovane barista Desmond Miles viene prelevato dalle industrie Abstergo e portato con la forza all’interno di un edificio misterioso. L’organizzazione ha da poco ultimato il progetto ‘Animus’, una sorta di tecnologico ‘registratore di ricordi’ che permette a chi lo utilizza di accedere alle proprie memorie genetiche, ovvero ai ricordi degli antenati. Il dottor Warren Vidic, a capo dell’operazione, obbliga Desmond a entrare nel dispositivo per visionare i ricordi di Altair, un suo avo vissuto al tempo delle crociate e membro degli Hashashin/Assassini, una setta derivativa dell’Ismailismo (corrente dell’Islam) realmente esistita. Tale gruppo raggiunse il massimo dell’attività nel dodicesimo secolo: come scopo principale si occupava dell’eliminazione individuale di alcuni personaggi di spicco secondo una ferrea dottrina istruita dal Gran Maestro. La memoria a cui i membri dell’Abstergo vogliono accedere risale al 1191, anno in cui Altair fu testimone di qualcosa di importante che, a detta del dottor Vidic, la Abstergo userebbe per uno scopo nobile. Al povero Desmond, anch’egli un ex membro di una versione moderna degli Assassini, non resta quindi che utilizzare l’Animus e ‘vivere’ i ricordi del letale Altair relativi alla Terza Crociata, periodo in cui si trovò al centro di una disputa fra i Crociati capeggiati da Riccardo Cuordileone, re d’Inghilterra, e il musulmano Saladino, deciso fermamente a non consegnare Gerusalemme alla Chiesa. La sua missione sarà finita quando Desmond giungerà al ricordo tanto bramato dalla Abstergo: solo a quel punto, il dottor Vidic deciderà cosa fare di lui.

Ecco la visuale di Desmond dall’interno dell’Animus. La macchina rappresenta anche la vera interfaccia del gioco, per selezionare i vari ‘blocchi’ e altro: davvero una bella idea.

Annunciato nel 2006 dalla Ubisoft come l’erede spirituale di “Prince of Persia”, ‘hypizzato’ all’inverosimile nei mesi successivi da un battage pubblicitario senza precedenti, pompato al massimo nei video di presentazione commentati dalla sorridente producer – nonchè ragazza immagine – Jade Raymond, l’attesissimo “Assassin’s Creed” è infine uscito su PC nell’aprile 2008 (su console era già stato edito negli ultimi mesi dell’anno precedente) dopo uno sviluppo durato circa quattro anni.

Innanzitutto, il gioco è stato fin da subito pensato come parte di una trilogia, la cui trama si sarebbe dipanata naturalmente attraverso i tre capitoli.

Altair si dimostra molto duttile nello scalare ogni tipo di parete. I passanti e le guardie sui tetti sono ignari di ciò che sta accadendo sopra il loro naso.

Il progetto viene affidato a Patrick Désilets, direttore creativo a capo del team di Ubisoft Montreal: un leader dalle spalle larghe che già aveva ricoperto quel ruolo proprio con l’antesignano di “Assassin’s Creed”, quel “Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo” che aveva aperto la nuova serie del Principe targata Ubisoft.

“Assassin’s Creed” è un titolo tanto atteso quanto contraddittorio: a tante idee interessanti e a fronte di grande cura per i dettagli, si contrappone una pochezza di fondo che non può lasciare indifferenti.
Ma procediamo per ordine.

I combattimenti sono molto coreografici ma troppo semplici e automatizzati.

Si impersona Desmond, personaggio che entrerà fisicamente nell’Animus per prendere il controllo dell’Assassino Altair. Al termine di ogni ‘blocco’, poi, si tornerà con Desmond all’interno delle asettiche e opprimenti camere della Abstergo nel tentativo di scoprire la verità che si cela dietro l’azienda. Queste sezioni non superano il 5% dell’intera avventura.
Nonostante il titolo fosse stato spinto a mille dalla produzione, i vari addetti sono comunque riusciti a tenere nascosto il lato fantascientifico della vicenda: se si esclude una piccola gaffe compiuta in un’intervista dalla bionda Kristen Bell (la lanciatissima attrice protagonista dei serial “Veronica Mars” e “Heroes”, che nel gioco presta volto e voce all’ambiguo personaggio di Lucy), la presenza della trama futuristica della Abstergo è risultata una vera e propria sorpresa per i giocatori, che si aspettavano di interpretare Altair all’interno di un’ambientazione ben diversa. Un bel colpo.
Il vero soggetto, invece, si spinge piacevolmente verso un intreccio misterioso relativo a una presunta cospirazione che coinvolge versioni moderne delle fazioni che si incontrano nei panni di Altair. Se a ciò si aggiungono le componenti sci-fi, si avrà come risultato un plot non particolarmente originale ma certamente interessante.

Al termine di ogni missione, Altair tornerà dal Maestro Al Mualim per il consuto colloquio. Fin dalla prime battute, è evidente che l’uomo ci nasconde qualcosa…

Il lato più interessante di questa scelta è il poter giustificare ogni espediente prettamente videoludico in un modo che rasenta la genialità: per esempio, i riquadri e i suggerimenti che appaiono su schermo sono effettivamente  parte dell’interfaccia dell’Animus; il calo della barra di energia, invece, viene spiegata come ‘perdite di sincronia’ di Desmond nei confronti del suo avo, che gli provocano gradualmente la disconnessione totale dalle sue memorie; le ‘libertà storiche’, che siano sviste o semplici accorgimenti per rendere più avvincente la storia, sono motivate con il tema del complotto, secondo cui i libri di storia sarebbero volutamente imprecisi poiché opera di storici faziosi (il che è apostrofato dalla battuta “Mi pare che esista un libro che afferma che il mondo è stato creato in sette giorni. Un best seller, credo.”).

Altair si mescola abilmente fra la folla, osservando la sua vittima e attendendo il momento giusto per colpirla.

Una simile convergenza della parte ludica con quella narrativa rende l’avventura molto realistica e immersiva. Ciò conferma la sensazione che la Ubisoft abbia puntato molto su questo aspetto, e sono tanti i tocchi di classe sparsi qua e là lungo l’avventura: la fase di ‘trapasso’ in cui la vittima si confida con l’Assassino (in un visionario ambiente sospeso nel tempo), l’amputazione dell’anulare sinistro di Atair (utile a occultare la letale lama segreta), la possibilità di visionare una cutscene da una prospettiva diversa (cliccando al momento giusto quando appaiono delle ‘interferenze’ nell’immagine), e molto altro.
Dall’altra parte, il plot centrale riesce a difendersi bene, grazie a una riproduzione storica molto puntuale e accurata e a un potenziale narrativo di un certo spessore, con relativi dilemmi morali, visioni dogmatiche e personaggi doppiogiochisti.

Sembra che si prepari una guerra. Ma Altair è pronto.

“Assassin’s Creed” ruota interamente sulla figura di Altair. Il suo carattere ribelle e poco rispettoso dei principi degli Assassini lo conducono ben presto a un duro provvedimento del Maestro Al Mualim, che lo degrada allo stato di novizio. Si parte quindi dal basso, acquisendo col tempo le varie facoltà – armi comprese – che caratterizzano l’Assassino modello.
Altair trasuda fascino, a cominciare dal look. Il suo costume, insieme semplice ma splendidamente rifinito con tanto di vesti svolazzanti e cappuccio che gli copre quasi del tutto il volto, lo rende un perfetto ‘signor nessuno’, un killer micidiale che si mescola fra la folla senza dare nell’occhio o sparisce completamente confondendosi fra gli ‘eruditi’ (religiosi dagli indumenti simili ai suoi).

Ingrandendo l’immagine si può notare che Altair sia sprovvisto dell’anulare sinistro, amputato per consentire di nascondere una lama segreta con cui effettuare gli omicidi silenziosi.

Le sue movenze, capaci di trasformarsi da lente e discrete durante i momenti ‘stealth’ a scattanti e feline nelle arrampicate e nelle uccisioni, lasciano a bocca aperta e denotano da sole l’incredibile cura che la Ubisoft ha riservato al protagonista.
Guardar muovere Altair è già di per sé appagante: quando si raggiunge una certa dimestichezza con i controlli (è necessario qualche minuto di pratica) è un vero spasso riuscire a far compiere al nostro eroe la più audace delle evoluzioni senza il minimo sforzo.
A proposito dei controlli, risulta anche interessante l’idea di dividere le ‘mosse’ di Altair in due approcci: basso e alto profilo. In pratica, se le movenze ‘stealth’ rappresentano quelle di default, tenendo premuto tasto destro del mouse si avrà accesso a una serie di controlli che permettono di mostrare tutta l’agilità del protagonista. Il sistema è  praticamente inedito e può inizialmente lasciare spiazzati, ma dopo poco ci si rende conto di come appaia intuitivo e agevole.

Sul punto più alto di Acri, Altair domina l’intera città. La visione è a rischio di vertigini e rappresenta la più maestosa dell’avventura.

A questo proposito va sottolineata l’incredibile sensazione di agilità provata durante le arrampicate sui palazzi e le corse sui tetti. La scelta di rendere le acrobazie semi automatiche (viene richiesta solo la direzione da intraprendere) si rivela estremamente azzeccata, affidando al giocatore la possibilità di concentrarsi sull’azione (specie nelle frequenti sezioni di fuga) piuttosto che su una serie di salti millimetrici da eseguire mediante frustranti controlli da platform. Il risultato è eccellente, e regala nel modo più intenso e inedito le forti emozioni e la spettacolarità tipica del ‘parkour’, la disciplina inventata da David Belle che consiste nell’adattare le evoluzioni fisiche ai vari ostacoli che si parano davanti in una situazione di fuga: muoversi come gatti all’interno delle città è una sensazione davvero liberatoria, e rappresenta senza dubbio gran parte del divertimento che “Assassin’s Creed” è capace di offrire.
Altair non sfigura neanche da fermo, comunque: facendo attenzione alla sua figura, si possono intravedere tanti piccoli dettagli, dalle armi alle pieghe del vestito, dall’espressione neutra del viso al ritmo del respiro.

Altair accompagna la sua vittima nell’aldilà. Questo è il momento per il condannato di rivelare al suo omicida i suoi segreti e le sue mire.

Un altro gigantesco punto a favore è il reparto scenografico, aiutato non solo dall’incredibile grafica (che comprende una profondità di campo mai vista prima) ma anche dalla rappresentazione delle città del Vicino Oriente (nel dettaglio: Gerusalemme, Acri, Damasco e Masyaf) in cui ci si muove. Le diverse aree sono caratterizzate da proprie caratteristiche, fra cui una ‘fotografia’ propria (la tavolozza dei colori ambientali) e un’attenzione storica che ha del maniacale (con tanto di monumenti riprodotti alla perfezione e coerenza con le varie lingue parlate dai vari coloni).
In un titolo simile, in cui la riproduzione storica è cruciale, l’apparato visivo non è solo un vezzo grafico, ma influenza concretamente e positivamente l’intera esperienza di gioco: tale cura garantisce un’immersione nell’ambiente senza pari, ricreando un contesto storico credibile e eccezionalmente affascinante (nonostante gli immancabili Templari!).

Desmond discute con quella che potrebbe essere l’unica persona degna di fiducia all’interno della Abstergo, Lucy: il personaggio ricalca l’aspetto dell’attrice Kristen Bell.

Il massimo dell’appagamento si ottiene scalando i palazzi in tutta al loro altezza e, soprattutto, le torri della città. Raggiungendo la cima, infatti, Altair adocchia tutti i possibili obiettivi dominando interamente lo scenario, e sequenze del genere regalano scorci davvero notevolissimi che esaltano al massimo la qualità e la cura grafica degli scenari.
Completano il quadro la buona colonna sonora di Jesper Kyd (che confeziona una partitura dai sapori mediorientali che si adatta dinamicamente all’azione) e un utilizzo sempre oculato dei vari effetti grafici (come lo spettacolare motion blur durante le corse a cavallo).

Dopo tanto ben di Dio, fa rabbia incappare in una serie di gravi problemi oggettivi che rovinano – almeno in parte – l’esperienza globale.

Fingersi un erudito consente ad Altair di penetrare in zone brulicanti di guardie. Nessuno vieta di usare l’approccio diretto, comunque.

Per cominciare, il racconto della vicenda ha più di un difetto. Sebbene il soggetto in sé sia potenzialmente interessante, infatti, il modo in cui si srotola l’intreccio è assai piatto e lineare: la sceneggiatura, insomma, non regala alcuna emozione. Nemmeno i telefonatissimi colpi di scena (due in tutto) aiutano a svegliare il giocatore dall’inevitabile torpore causato dai lunghi e noiosi dialoghi statici – peraltro non interattivi né skippabili (livelli di frustrazione altissimi quando bisogna sorbirsi il filmato introduttivo ogni volta che si carica un ‘blocco’).
Esiste un minimo di introspezione dei personaggi secondari nella sezione del ‘trapasso’, ma si tratta di momenti unici che giungono quando è ormai troppo tardi.
Lo stesso Altair, che, grazie alla sua immagine sprizza carisma da tutti i pori, è in realtà un personaggio molto debole, perennemente in balìa degli eventi e anche vagamente tardo. Infatti, pur ponendosi mille domande, lanciandosi in infiniti dialoghi che non portano sostanzialmente a nulla, continua ad agire in maniera lineare e prevedibile lungo tutta l’avventura.

Altair è circondato da circa una ventina di cattivoni armati di tutto punto. La loro strategia di attaccare uno per volta, però, rende lo scontro piuttosto agevole.

Ciò impedisce al giocatore di empatizzare col protagonista, un difetto che è esasperato anche dal modo in cui Altair accetta gli incarichi: mai, durante il gioco, si ha l’impressione che gli omicidi siano ‘realmente’ eseguiti a fin di bene, fattore che in realtà farebbe parte di un twist finale ma che risulta evidente già dal secondo ‘blocco’. Senza dubbio, il problema risiede nella qualità della sceneggiatura, mai realmente ispirata o avvincente, che gioca le proprie carte in modo sbagliato (perché non approfondire davvero le motivazioni delle varie fazioni in lotta, o l’ambiguità di certi personaggi?) ed eccessivamente sbrigativo (è fin troppo ovvio chi siano i veri ‘cattivi’).
Lo stesso, purtroppo, vale anche per la trama relativa a Desmond, che perlopiù si estrapola attraverso diverse mail – non particolarmente interessanti – lette dal protagonista, e altri prolissi dialoghi col dottore e la sua assistente, Lucy. Anche qui, però, l’intreccio appare blando e trascinato, con qualche colpo di scena conclusivo davvero poco coinvolgente.

Per utilizzare la sua vista speciale, Altair deve raggiungere i punti più alti della città: la facoltà gli consentirà di adocchiare i ‘punti caldi’ della città. Le sequenze di arrampicamento, pur ripetitive, sono una gioia per gli occhi.

Il cliffhanger a fine avventura, inoltre, risponde correttamente al quesito principale della trama (il motivo per cui la Abstergo voglia accedere ai ricordi di Desmond), fornendo molte domande e materiale per i prossimi capitoli, ma risulta oltremodo anonimo, come se la storia si fosse semplicemente fermata piuttosto che lasciata a metà: sono infatti del tutto assenti un crescendo finale e una sequenza di un certo pathos, e si ha l’impressione di abbandonare un gioco interrotto brutalmente.

Ma il ‘vero’ difetto, quello che rischia davvero di affossare un gioco dalle grandissime potenzialità, è – manco a dirlo – il gameplay.
Nella storia, Altair è incaricato di assassinare nove figure chiave (alcune di esse sono personaggi storici realmente esistiti). Prima di giungere abbastanza vicino al suo bersaglio, però, deve racimolare varie informazioni per le strade che gli permetteranno di scoprire come e dove colpire meglio. Ora, se per quanto riguarda gli assassinii ‘chiave’ esiste una certa varietà di situazioni, per le indagini in strada il discorso è, purtroppo, molto diverso: è nessario infatti affrontare una serie missioni parzialmente ‘free-roaming’ (fra cui borseggio, omicidi silenziosi, scorta, spionaggio) piuttosto interessanti e discretamente realizzate, ma tremendamente ripetitive.
I suddetti incarichi sono infatti riproposti più volte senza nessuna modifica sostanziale, ed è facile immaginare non solo che dopo il quarto/quinto giro risultino risolvibili a occhi chiusi, ma che siano destinati a venire a noia molto prima. La sensazione che gli autori abbiano allungato il brodo per compensare una longevità non certo da urlo è molto forte e non fa nulla per essere mascherata (nonostante per la versione PC ci sia stato un incremento di varietà delle missioni secondarie).
Inoltre, i numerosi combattimenti all’arma bianca possono inizialmente apparire divertenti e spettacolari, ma una volta acquisita la micidiale contromossa parata-attacco (che permette di atterrare qualsiasi nemico con grande facilità) si rivelano anch’essi di un’estrema ripetitività. Nulla cambia se si è letteralmente circondati, poiché i brutti ceffi attaccano comunque uno per volta – che siano in due o in cento – rendendo di fatto i combattimenti sempre uguali e agevoli (al contrario di quanto accadeva con quelli – più complessi e adrenalinici – dei “Prince of Persia”).

Ecco cosa accade a chi si mette fra un Assassino e la sua missione.

Oltre a ciò, l’intelligenza artificiale non sempre appare brillantissima: a volte basta un nonnulla per mettere in allarme i passanti e le guardie, mentre altre volte non fanno una piega di fronte a un omicidio, fino ad arrivare a episodi involontariamente comici in cui un cittadino che aveva appena ringraziato Altair per averlo salvato dalle guardie, fisserà i cadaveri dei suoi assalitori dicendo “Chi ha fatto questo? Aiuto! Ci deve essere un assassino in giro!”.
Non si comprende, poi, la reale utilità del gesto che Altair compie per ‘spostare’ fisicamente i passanti: la ‘mossa’ dovrebbe garantire un passaggio discreto fra la folla, ma in verità, anche senza tale accorgimento  nessuno si allerterà davvero.

L’allarme scatta, generalmente, durante le azioni di ‘alto profilo’. Una volta beccati, è possibile darsi alla fuga o sfidare a duello gli inseguitori. La fuga dovrebbe essere una componente cruciale del gameplay poiché, se eseguita con successo, porterebbe al ritorno della normale modalità ‘stealth’: in effetti però, nonostante la spettacolarità delle corse, risulta molto più immediato liberarsi degli inseguitori affrontandoli direttamente con la spada piuttosto che saltare da un tetto all’altro nella speranza di individuare qualche anfratto nascosto. Gli stessi momenti stealth, fra l’altro, si dimostrano piuttosto carenti e quasi trascurabili (sebbene fondamentali per la ‘coolness’ generale).
Appaiono di utilità molto discutibile anche gli inevitabili bonus (come le bandierine da raccogliere nei posti più impensati, o l’uccisione dei Templari sparsi in giro) e le sezioni a cavallo (durante le quali, se non altro, si ha l’ennesima occasione per rifarsi gli occhi).

Non si può proprio dire che al nostro eroe manchi il fegato…

Tirando le somme, parlare di “Assassin’s Creed” in termini di ‘occasione mancata’ sarebbe esagerato, poiché le tante belle idee e un apporto scenografico senza rivali riescono curiosamente a bilanciare una desolante assenza di profondità ludica e narrativa: le tante magagne che minano il lato emotivo dell’esperienza, quindi, non riescono a offuscare il fascino sensoriale del titolo della Ubisoft, che resta in ogni caso un titolo incredibilmente immersivo, elegante, e infinitamente bello da vedere.

     

La citazione:
Dr Warren Vidic: Niente è reale. Tutto è lecito.

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Categories: videogiochi

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