Rise of the Dragon

All’interno di una buia e sinistra Los Angeles del 2053, la figlia del ripugnante sindaco Vincenzi è trovata morta in circostanze poco chiare: il primo cittadino assume quindi il detective privato William ‘Blade’ Hunter per indagare sul caso. Armato di una semplice pistola e dell’immancabile impermeabile marrone, Blade porterà alla luce un traffico di droga gestito dalla Mafia Cinese, dietro cui si cela un misterioso personaggio la cui vera natura potrebbe non appartenere a questo mondo.

Anno 1990. Lo stile Lucas non ha ancora riscritto definitivamente le regole dell’avventura grafica, e diverse software house sono libere di proporre la propria ‘interpretazione’ del genere. La Dynamix, già nota per titoli come “Mechwarrior” e “Red Baron”, viene acquisita dalla Sierra On-Line e si offre di dire la sua con un gioco a suo modo sperimentale che getta alcune basi che l’azienda avrebbe ripreso anche nelle future produzioni.

 

L'appartamento di Blade non è esattamente a cinque stelle. Un elicottero passerà di tanto in tanto, provocando l'oscillamento dell'edificio.

Rise of the Dragon” racconta una storia dai toni adulti in cui la sfida è rappresentata non dalla difficoltà degli enigmi (di numero assai limitato), ma dal dover vivere l’avventura in modo oculato, con una certa libertà d’azione. Lo scopo è cercare di essere nel posto giusto al momento giusto, approcciandosi ai personaggi e alle situazioni adottando una linea di condotta adeguata. In altre parole, buona parte delle azioni e delle conversazioni che si affrontano delineano il proseguimento del gioco. Ciò non significa che ci si trovi davanti a un gioco ‘a bivi’: piuttosto, le scelte corrette conducono a strade più facili o quanto meno allo sviluppo regolare dell’avventura. Gli errori possono invece essere puniti, in alcuni casi anche con la fine prematura del gioco.

 

Karyn è innamoratissima del nostro eroe (che ricambia a giorni alterni), ma soprattutto è la sua fonte di informazioni principale. Meglio tenersela stretta.

Un elemento importante del game design, a opera di Jeffrey Tunnell, è costituito dal fattore temporale. In alto a destra dello schermo è posto infatti un orologio che va costantemente tenuto d’occhio: graficamente la feature non comporta alcun cambiamento atmosferico, ma risulta indispensabile nel caso in cui, per esempio, non si debba mancare a un appuntamento o si voglia entrare in un edificio aperto solo fino al pomeriggio. L’avventura introduce anche un tempo limite entro il quale svolgere le azioni quotidiane (dopo mezzanotte il nostro Blade comincerà ad avvertire la stanchezza) e chiudere definitivamente il caso (circa cinque giorni): nonostante possa sembrare di sentire il fiato sul collo, il ridotto numero di locazioni e, in generale, la relativa brevità del gioco permette al giocatore di esplorare a fondo tutte le locazioni senza fretta.

Le cutscene sono realizzate attraverso vignette disegnate a mano, di buona fattura.

L’inserimento di vicoli ciechi e di game over potrebbe far inorridire il fruitore di oggi, ma in realtà l’interpretazione alternativa di adventure della Dynamix risulta interessante e piacevole, richiedendo un’attenzione maggiore verso alcuni fattori generalmente dimenticati dai prodotti di tipo classico. Se quindi nell’avventura tipica si tende a provare ogni approccio possibile, esaurendo tutte le possibilità senza perdersi niente, “Rise of the Dragon” costringe invece a ragionare, pena – nel peggiore dei casi – la morte. È comunque anche vero che alcuni piccoli errori del giocatore sono perdonati (in genere viene offerta una seconda possibilità o la chance di riparare all’errore con un breve enigma) e che solitamente si viene messi in guardia se c’è la possibilità di infilarsi in qualche situazione rischiosa (il che scongiura il pericolo di gratuità tipico dei vecchi prodotti Sierra), ma stare sul chi vive è praticamente indispensabile se si vuol portare a termine l’avventura. Infine, davvero poco riuscite le sezioni arcade, ma per fortuna il gioco permette di skipparle.

Durante il gioco si affrontano tre sequenze arcade: due di esse sono realizzate dozzinalmente come uno shooter a scorrimento orizzontale; la terza consiste in una breve sparatoria con visuale statica in prima persona.

Per quanto riguarda l’aspetto narrativo (a opera di Jerry Luttrell e David Selle), ci troviamo invece di fronte a un’ambientazione futuristica/noir pesantemente derivativa: lo spirito di “Blade Runner” è onnipresente all’interno della sporca e corrotta Los Angeles immersa nella notte e nei neon, popolata dalla caratteristica mescolanza di etnie già viste nella pellicola di Ridley Scott. Gli autori decidono comunque di giocare a carte scoperte, arrivando a citare da subito la fonte d’ispirazione attraverso il nome del protagonista (‘Blade’ Hunter = Cacciatore). Nonostante la buona riuscita del mood generale, la sceneggiatura riesce a sfoggiare un ritmo discreto ma presenta degli sviluppi un po’ discutibili, come l’inserimento dell’elemento sovrannaturale con tanto di dio/demone arabo che salta fuori nel finale. La ridotta durata dell’avventura non permette approfondimenti particolari, ma in media la scrittura appare poco intrigante e lasciato un po’ sullo sfondo rispetto all’ambientazione e, soprattutto, al gameplay.

La grafica, d’altro canto, aiuta nel rendere credibile il tono bladerunneriano, grazie in particolare alle numerose animazioni ambientali e alla randomizzazione di alcuni elementi di sfondo che restituiscono una città particolarmente viva. La cura degli scenari aiuta anche a delineare le caratterizzazioni: se, quindi, il monolocale di Blade appare stretto e angusto (con tanto di rubinetto che perde), l’ufficio del sindaco è invece particolarmente arioso e scintillante. Benché spesso la visuale copra solo una parte dello schermo, l’aspetto visivo risulta ben riuscito e caratterizzato.
Dimenticabile invece il sonoro, con musichette ripetitive e poco ispirate. Da segnalare che, nella versione per Sega Mega-CD, il gioco comprende anche il parlato, assente nella versione PC.

Il Pleasure Dome ('Cupola del Piacere') è un postaccio frequentato da spogliarelliste e pessimi elementi, ma Blade saprà come sfruttare l'ambiente a proprio vantaggio.

Il primo tentativo della Dynamix in campo adventure si rivela un prodotto interessante e in buona parte fortunato: “Rise of the Dragon” è un buon esempio di avventura libera dalle convenzioni stabilite dai puristi di oggi e presenta un gameplay con diverse idee indovinate ma anche una realizzazione complessiva che non riesce a convincere del tutto.

     

La citazione:
Bum: Sei tu quello della profezia?
Blade: Quale profezia?
Bum: LA profezia. Racconta di un titanico conflitto fra il malvagio Bahumat e un grande eroe!
Blade: Cosa accade a questo ‘eroe’?
Bum: Viene distrutto dal Male in migliaia di piccoli pezzettini! Però salva l’universo!
Blade: Incoraggiante.

 

Nota: Il gioco gira ottimamente su DOSBox. Occhio però a configurare adeguatamente l’audio (consiglio di settare la scheda audio su ‘Adlib’), altrimenti si potrebbero perdere gli effetti sonori.

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Categories: videogiochi

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