Wolf Among Us, The
In seguito a un esodo, i personaggi delle fiabe (‘Fables’) sono fuggiti nel nostro mondo e vivono in parte mimetizzati a New York, in un quartiere di nome Fabletown, e in parte in una sorta di zona prigione chiamata ‘Farm’. Quando una prostituta viene trovata decapitata, è compito dello sceriffo Bigby Wolf (‘Luca’ in italiano), il Lupo Cattivo delle fiabe, indagare sull’accaduto. Sempre in bilico fra Bene e Male, Bigby dovrà addentrarsi nella sporca e corrotta Fabletown cercando di trattenere – o rilasciare – il suo lato oscuro, mai del tutto scomparso.
In seguito al gigantesco exploit della prima stagione di “The Walking Dead”, i Telltale si trovano di fronte alla difficile prova di confermare la bontà del nuovo format (basato sull’attraversare l’avventura in maniera semi-guidata e affrontando una serie di scelte morali e narrative) con un titolo, “The Wolf Among Us” (2013), piuttosto lontano dalla produzione precedente sia in termini di atmosfera che di racconto.
Ispirandosi al fumetto “Fables” di Bill Willingham, i Telltale scelgono di adottare un registro hard boiled / noir con frequenti spruzzate di pulp che ben accompagna le vicende dell’ombroso e instabile Bigby.
L’aspetto visivo ricalca alla lettera tale impronta, e fin dai primi istanti è possibile scorgere un’impronta stilistica eccezionale. Nonostante i comprovati limiti del vecchio Telltale Tool e delle texture non sempre all’altezza, infatti, il gioco può contare su una direzione artistica stellare: un vero fumetto animato ‘disegnato’ con grande gusto estetico e con una cura nella resa degli sguardi (soprattutto quelli del protagonista) davvero superba. Fa il paio l’apprezzatissimo ritorno di Jared Emerson-Johnson che confeziona una colonna sonora ricercata e ficcante dagli echi ‘carpenteriani’.
Diviso in cinque parti, “The Wolf Among Us” parte benissimo, con un primo episodio ottimamente scritto, vario nel gameplay e spettacolare nella grafica.
Purtroppo però, dalla seconda parte si nota una decisa flessione nella qualità complessiva, causata probabilmente anche da cambiamenti in corso di sviluppo che hanno compromesso l’armonia generale e la costruzione del singolo episodio.
La serie, soprattutto nella parte centrale, finisce infatti per perdersi in sequenze troppo verbose e in una gestione incerta del numerosissimo cast, la cui coralità non sempre riesce a essere espressa con la dovuta efficacia, lasciando qualche personaggio secondario poco sviluppato o generando qualche ridondanza. Ciò si traduce anche in uno scarso coinvolgimento del giocatore riguardo alle vicende e alle sorti di alcuni comprimari.
In alcuni frangenti, inoltre, il gioco impedisce di setacciare a fondo un luogo o di esaurire gli argomenti di discussione con l’interlocutore, costringendo talvolta a scegliere di fare un sopralluogo in un posto invece che in un altro senza la possibilità di visitarli entrambi: sebbene una condizione simile possa apparire plausibile (e, per alcuni, perfino un punto a favore), in realtà essa può rappresentare una piccola fonte di frustrazione, poiché in un’investigazione videoludica si tende sempre a non tralasciare alcun dettaglio e a osservare ogni elemento con la dovuta calma nel tentativo di ricostruire la vicenda.
Nonostante la qualità non scenda mai oltre una certa soglia, si può comunque osservare come la struttura basata sulle scelte morali venga messa duramente alla prova da una narrazione di tipo investigativo che, contrariamente a ciò che avveniva in “The Walking Dead” (che peraltro presentava una vicenda meno complessa ma delle dinamiche generalmente più valide), si sposa meno bene con tale concept.
In altre parole, i bivi, come costruiti nell’avventura, rischiano di adattarsi poco a un’indagine. Il limite è comunque ben camuffato dal protagonista che si interpreta, sempre sull’orlo del cedimento al suo lato più istintivo e animalesco: il dualismo bene/male, infatti, giustifica la presenza delle scelte etiche in maniera abbastanza convincente.
In ogni caso, solo giungendo al termine dell’avventura è possibile finalmente comprendere la reale intenzione dietro al sistema: sebbene non si abbia mai la sensazione che le decisioni conducano effettivamente a diramazioni alternative importanti, nel confronto finale molti nodi vengono al pettine e si comprende come le azioni del giocatore abbiano influito non tanto sulla trama, ma soprattutto sulla percezione che i personaggi, e in particolare il giocatore stesso, hanno del protagonista. Un bel colpo di coda che rilancia – anche se in parte – una serie che, pur perdendo il confronto diretto con “The Walking Dead”, si assesta su buoni livelli.
Si può affermare che, nonostante i problemi nello sviluppo e una qualità altalenante, “The Wolf Among Us” meriti di essere vissuto e apprezzato. A questo punto della storia produttiva dei Telltale non è ancora possibile stabilire se il format della casa americana sia abbastanza duttile e adattabile a fare da impalcatura a racconti dalle impostazioni più disparate: applicata sulle avventure di Bigby, la struttura – che viene riproposta in maniera sostanzialmente inalterata – incespica, ma per fortuna si riprende bene grazie a una pregevole intuizione che, di fatto, rimanda l’inevitabile ritocco del format al futuro.
La citazione:
Bigby: Pensi che il mio lavoro sia facile? Tenere al sicuro le Fiabe per evitare che si ammazzino fra loro. Come pensi che funzioni tutto questo? Bisogna essere grossi, e bisogna essere cattivi.
Maggio 11, 2016 mercoledì at 10:34 pm