Flashback: The Quest for Identity
Durante la prima metà degli anni ’90, riuscire a fermare l’inarrestabile corazzata di game designer francesi, capace in brevissimo tempo di rivoluzionare estetica e gameplay del mondo videoludico, era praticamente impossibile.
In tale contesto, materiale per far vibrare l’Interessometro di certo non manca, e lo stesso deve aver pensato Paul Cuisset, game designer principale della Delphine Software, che nel ’92 sfornò “Flashback: The Quest for Identity”. Ispirandosi pesantemente ai due action adventure di riferimento, “Prince of Persia” di Jordan Mechner e “Another World” di Eric Chahi, l’autore francese realizza un titolo che con una certa sfacciataggine pesca a piene mani idee e concetti dai suoi illustri predecessori.
Graficamente, “Flashback” presenta personaggi realizzati in grafica vettoriale prerenderizzata (utilizzata in real-time da Chahi per il suo gioco) e animati utilizzando la tecnica del rotoscoping (pioneristicamente adoperata da Mechner in “Karateka” e nello stesso “Prince of Persia”). Gli sfondi disegnati a mano rappresentano l’unica vera differenza, e conferiscono un aspetto di buona qualità ai numerosi scenari.
L’avventura mostra diverse contaminazioni dalle opere ispiratrici ma un gameplay meno rapido e più elaborato che comprende interazioni con l’ambiente, un inventario, dialoghi con altri personaggi e un universo di gioco più vario. Ciò che sulla carta sembra un obiettivo di tutto rispetto, si traduce in qualcosa che non raggiunge la dirompente semplicità di “Prince of Persia” né la spettacolarità di “Another World”, funestato da controlli scomodi che respingono di netto l’immediatezza dei predecessori obbligando a una gestione tentacolare dei tasti (almeno su pc), con pulsanti diversi per estrarre l’arma e riporla, sparare, interagire/correre, aprire l’interfaccia e combinare oggetti. Davvero paradossale in questo senso l’esecuzione dell’indispensabile e più complessa acrobazia disponibile, ovvero il salto con presa su un piano più alto: va semplicemente tenuto premuto il tasto della corsa e il protagonista la effettua in automatico. Senza senso.
A ciò si aggiunge un game design spesso disonesto, basato su backtracking piuttosto frequente, difficoltà elevata (con checkpoint molto rari), inutili lungaggini e soprattutto una serie di colpi bassi, come l’impossibilità di correre/saltare brandendo l’arma o la presenza di pericoli improvvisi al di là di una room a causa del mancato scrolling.
Inoltre, nonostante le possibilità fornite dalle nuove feature, “Flashback” non è così vario come si potrebbe pensare, e non va oltre una serie di combattimenti volti a recuperare chiavi per aprire porte bloccate. Più in là nel gioco si ottiene possibilità di teletrasportarsi, il che aggiunge qualche situazione in più, ma è troppo poco e troppo tardi.
Il prodotto si guadagna l’etichetta di ‘platform cinematografico’ grazie anche alle cutscene, molto simili nel look a quelle di “Another World”, che irrompono nel gioco per raccontare una trama più complessa rispetto ai modelli ispiratori e con background piuttosto curato e peculiare, ma anche banale e risibile nella scrittura: una storiella di fantascienza all’acqua di rose senza atmosfera né guizzi di alcun tipo.
Nel saggio “The Making of Prince of Persia” di Jordan Mechner, l’autore della serie del Principe racconta di un incontro avuto con un furioso Eric Chahi, auto-esiliatosi dalla Delphine, che parlava di come Cuisset avesse non solo ‘rubato il tono e il look’ del suo “Another World”, ma che lo avesse utilizzato – a suo parere – per essere una copia spudorata di “Prince of Persia”. Successivamente Mechner, provando “Flashback”, avrebbe confermato la sua impressione (‘plagia “Prince of Persia” senza vergogna’), pur ammettendo che il gioco ‘non fosse male’. L’autore di “Prince” scrive inoltre che sarebbe poi stato tentato di rubare la grafica vettoriale dalla Delphine per realizzare il suo ‘train game’ (il futuro “The Last Express”) e restituire così la pariglia, ma si sarebbe infine fermato a causa della sua ‘ossessione per l’originalità’.
Generalmente poco ispirato, ingolfato da controlli pesanti e da un game design poco brillante, realizzato saccheggiando idee da capolavori ben più coraggiosi e innovativi, “Flashback” viene edito nel momento storico giusto e riesce comunque a convincere, divenendo in Francia il gioco più venduto di sempre e generando in futuro un seguito ufficiale (“Fade to Black”), un terzo episodio mai completato (“Flashback Legends”) e un remake.
Onore quindi a Cuisset per aver sviluppato, con una bella dose di intuito, astuzia e lungimiranza, un’avventura che non fa di certo dell’originalità e dell’innovazione il suo vessillo, ma che risulta indovinatissima in quanto a tempismo. “Flashback” è una spugna che assorbe le idee più felici dei due migliori action-adventure di quel periodo, risultando oggi al confronto meno decisivo storicamente e più frustrante, ma comunque divertente.
INTERESSOMETRO: 4 su 5.
Agosto 24, 2013 sabato at 2:28 pm