Undercover: Operation Wintersun
La seconda guerra mondiale è uno scenario tipico nel mondo dei videogiochi: il conflitto, culminato nel terribile Olocausto, è un periodo (sovra)sfruttato in particolar modo dagli sparatutto in soggettiva, che riescono a ricreare con una certa cura le battaglie campali contro le armate del Terzo Reich. Si tratta inoltre di un’ambientazione, piuttosto nota e radicata, che si confà particolarmente alle esigenze di gameplay degli FPS, i quali possono cogliere al volo l’opportunità di mettere in scena ciò che in fondo si riduce semplicemente al solito scontro ‘buoni (Alleati) contro cattivi (Nazisti)’.
In generale, un linguaggio videoludico intrinsecamente più narrativo – come quello delle avventure grafiche – è in grado di sviluppare tale soggetto in forma diversa, rifiutando lo stereotipo (soluzione comoda negli FPS) e, almeno teoricamente, donandogli una maggiore profondità emotiva e narrativa. Curiosamente, forse a causa del tema delicato, le avventure ambientate durante la seconda guerra mondiale latitano un tantino: “Undercover: Operation Wintersun” tenta di porvi rimedio. Purtroppo, però, senza convincere.
È il 1943. Il professor John Russell viene convocato dal colonnello Travers per partecipare a una pericolosa missione dietro le linee nemiche. Sembra che un documento trafugato ai nazisti – nome in codice ‘Operazione Wintersun’, appunto – contenga le specifiche per costruire un pericoloso ordigno nucleare. In quanto esperto di fisica e buon conoscitore della lingua tedesca, Russell è l’uomo giusto per un incarico di infiltrazione atto a scoprire qualche dettaglio in più. Con una certa riluttanza il professore accetta: gli verrà affiancato l’esperto agente Graham, a cui presto si unirà anche la spericolata Anne Taylor.
“Operation Wintersun” (Sproing, 2006, edito in Italia l’anno successivo), scritto e ideato da Georg Heinz, è un titolo estremamente contradditorio. A fronte di un’ambientazione potenzialmente interessante, il gioco parte con un approccio discutibile e finisce poi per perdersi dopo poco in picchi di umorismo involontario.
Appena preso il controllo del protagonista ci si accorge che qualcosa non va: uscito dall’ufficio di Travers come novello 007, si assiste a una scena in cui il professore… prende una patata dall’immondizia e, grazie a essa, sfama un corvo. Non certo un’azione bondiana. Con un certo sforzo, comunque, pensando magari che si è ancora in ‘fase tutorial’, si può soprassedere. Purtroppo, però, due minuti dopo ci si rende conto che la situazione non migliora. Appena giunto a Berlino, infatti, John trova quella che sembra essere la borsa di Mary Poppins e si riempie le tasche con ogni genere di ammennicolo, fra cui fogli assortiti, sassolini, contenitori di liquidi vari, l’immancabile tubo di gomma e perfino una sturalavandini: decine di oggetti assolutamente ‘off topic’ per un agente segreto, con l’ovvia conseguenza che la sospensione dell’incredulità va definitivamente a farsi benedire.
In seguito, gran parte delle operazioni segue quel genere di trend. In realtà, né John né la sua compagna Anne Taylor compiono mai delle missioni veramente ‘undercover’: le loro azioni coprono un genere di infiltrazione che poco ha a che vedere con le dinamiche del lavoro di spia. Sono presenti perfino un paio di sezioni dichiaratamente action-stealth, in cui si deve evitare di essere visti dai soldati nemici.
Non risollevano la situazione gli enigmi, settati su una difficoltà piuttosto alta. L’idea di basarli tutti (o quasi) sulla manipolazione di oggetti può essere gradita: purtroppo, però, il numero folle di aggeggi nell’inventario e, soprattutto, un frequente (e davvero spietato) pixel hunting impediscono di trarre un qualche genere di appagamento dalla risoluzione dei puzzle.
Il potenziale espresso in apertura dell’articolo non viene mai davvero concretizzato: l’ambientazione da conflitto globale è infatti sempre mal delineata a causa di diversi fattori di genere narrativo. D’accordo, i nazisti sono spesso usati come nemesi facilmente riconoscibile e a volte anche caricaturale, e in un’avventura alla Indiana Jones ciò può non rappresentare necessariamente un male. In “Operation Wintersun”, però, l’obiettivo avrebbe voluto essere quello di dar vita a un mondo credibile dal punto di vista storico, offrendo un’esperienza di gioco più vicina a un romanzo di fantastoria o di spionaggio che alla consueta avventura brillante: in questo caso, con soldati nemici senza faccia e un cattivo principale (tale Von Pressnitz) privo di quel briciolo di carisma che è lecito attendersi persino da un villain monodimensionale, è evidente che esistono dei problemi nell’approccio.
Come diretta conseguenza, non si percepisce praticamente mai una qualche sensazione di minaccia incombente, di grande conflitto in atto: John si infiltra in un palazzo in cui lo schieramento dei soldati è del tutto accessorio, e successivamente si muove in una tranquilla cittadina tedesca che sembra non aver risentito affatto della guerra. Non riesce a salvare il tutto la discreta sezione finale (con tanto di colpo di scena), in cui le cose sembrano cambiare e si passa finalmente a scenari devastati e a situazioni (spesso di vita o di morte) molto più logiche. Naturalmente manca anche qualsiasi approfondimento sulla guerra in sé o sulle fazioni in gioco.
Insomma, l’impressione generale è che la buona ambientazione sia stata del tutto sprecata.
“Operation Wintersun” è un titolo pensato come capostipite di una serie: lo stesso finale, infatti, lascia chiaramente immaginare un ritorno del gruppo di protagonisti. Per favorire l’intento (poi disatteso) di confezionare diverse avventure a un ritmo d’uscita elevato, è stata quindi fatta la scelta di limitare la longevità: pertanto, il gioco non risulta vastissimo.
Nonostante gli influenti difetti sopra espressi, non è il caso di bocciare completamente l’avventura della software house tedesca. Quasi a sorpresa, infatti, la qualità dei dialoghi si assesta su buoni livelli, con una certa cura nella caratterizzazione dei due protagonisti – John e Anne – che lascia intravedere nelle loro dinamiche un margine di evoluzione nel corso della serie. Non si tratta di personalità particolarmente sfaccettate (John il timido e impacciato professorino, Anne l’istintiva e scavezzacollo agente ribelle), ma funzionano discretamente bene, specie nei duetti (che danno vita al classico scontro/alchimia fra due caratteri opposti).
Non si capisce poi come mai la Blue Label (che ha distribuito il gioco in Italia) abbia scelto di doppiare nella nostra lingua – e neanche tanto male, anzi – solo i video in Full Motion Video e le cutscene principali, lasciando in originale il resto del gioco (provocando uno straniamento simile a quello provato in “The Longest Journey”) e affidando ai sottotitoli il (barcollante) lavoro di adattamento. Ottimo, comunque, il doppiaggio originale di John, che conserva perfettamente il suo aplomb tipicamente inglese, e buone anche le altre voci.
Pregevole l’impatto grafico, non certo al livello delle produzioni più blasonate, ma al di sopra della media delle avventure dello stesso periodo. Discreti i fondali e molto particolareggiati i primi piani dei personaggi (benché privi di qualsiasi espressione che non sia quella standard). Stupisce l’elevato numero delle animazioni, varie e di buona qualità. Pollici in alto per l’interfaccia, semplice e precisa: il cursore intelligente indica l’azione possibile, ma dà comunque la possibilità – come opzione standard – di esaminare l’hotspot.
Purtroppo svariati bug (molti dei quali causano frequenti ritorni al desktop) dimostrano una certa noncuranza in fase di programmazione da parte degli autori.
“Undercover: Operation Wintersun” è un titolo dalle ottime premesse ma dall’esecuzione insoddisfacente. Uno scenario potenzialmente interessante nasconde purtroppo un’avventura anonima e priva di mordente, che delude per il mancato approfondimento tanto della trama quanto dell’ambientazione stessa; situazione aggravata dalla presenza di azioni incoerenti che i pur buoni dialoghi non riescono a riscattare.
La citazione:
(L’agente Graham armeggia di fronte a una porta chiusa)
Graham: Non riesco ad aprire questa maledetta porta…
John: Forse con un po’ di gentile violenza…
Graham: Credevo foste contro le soluzioni violente.
John: Ecco perché ho detto ‘gentile violenza’.
Nota: Sembra che “Operation Wintersun” abbia qualche problema a girare adeguatamente su alcune schede video di generazione pari o successiva a quelle in commercio dal 2006: con un’nVIDIA 8800 GTS i poligoni nei primi piani apparivano del tutto sballati (vedere foto). Purtroppo, la Sproing ha ignorato il problema, quindi non è stata edita nessuna patch nè è stata indicata alcuna procedura per rimediare.
Agosto 20, 2013 martedì at 7:51 pm