Walking Dead, The
L’Apocalisse Zombie è piombata sul suolo americano. Il professore universitario Lee Everett, accusato di omicidio, cerca di sopravvivere all’interno di un mondo devastato e brutale in cui vige la legge del più forte, e dove gli umani sono spesso peggiori del male che cercano di combattere. L’incontro con la piccola Clementine, scampata per miracolo a morte certa, si rivela cruciale per Lee: dai suoi comportamenti, infatti, dipenderà o meno la salvezza della bambina. Cercherà di proteggerla nascondendole il lato più spietato del nuovo mondo o le insegnerà ad accettarlo? Alleandosi con un piccolo gruppo di sopravvissuti, i due saranno costretti ad agire come mai avrebbero pensato pur di cavarsela.
Che l’obiettivo dei Telltale fosse quello di puntare a prodotti videoludici incentrati sulla narrazione era già evidente dal loro primo adventure (“Bone: Out from Boneville”). In seguito, la software house californiana ha dovuto impostare i franchise di “Sam & Max” e “Monkey Island” in modo più tradizionale, correggendo la rotta per evitare di snaturare il marchio. L’incompreso “Jurassic Park: The Game” ritornava sui binari di quell’avventura narrativa tanto cercata dai Telltale, ma è solo con “The Walking Dead” (2012) che l’idea riesce finalmente ad assumere contorni più convincenti.
A ben pensarci, la struttura ludica ruota intorno a un concept elementare: far interagire il giocatore all’interno di una storia nel modo più fluido e coerente possibile, il tutto senza una vera sfida né difficoltà particolari. In altre parole, è l’esperienza a venire priorizzata.
Il pensiero può, comprensibilmente, volare a quei ‘film interattivi’ in FMV che spadroneggiavano durante la metà degli anni ’90, il cui gameplay – dopo un’iniziale esaltazione da parte del pubblico – venne considerato semplicistico e troppo poco rilevante. A differenza dei casi sopra citati, però, in “The Walking Dead” l’interazione è fortemente presente, e la sensazione di passività del giocatore è praticamente annullata da interventi sempre diversi con la particolarità – semplice ma indovinata – di essere strettamente correlati all’azione su schermo.
Nonostante presenti una parvenza tipicamente adventure, con tanto di inventario e hotspot da indicare col mouse, il gameplay riesce a infatti ad ‘adattarsi’ secondo i casi, prevedendo combinazioni di oggetti, sezioni a tempo, dialoghi, quicktime event, esplorazione e altro.
Molte volte l’intervento è talmente minimo e pilotato da sembrare superfluo, ma è possibile accorgersi della vera forza di “The Walking Dead” proprio attraverso tali situazioni, ovvero quando la partecipazione del giocatore è richiesta perfino quando si tratta, in fondo, di quella che in un adventure classico sarebbe stata una semplice cutscene non interattiva.
L’obiezione sulla reale necessità di provare un ‘videogioco’ così automatizzato quando sarebbe più coerente preferire un prodotto cinematografico non dovrebbe neanche esistere, poiché l’intento degli autori risiede piuttosto nella volontà di ottenere una maggiore immedesimazione nei confronti delle vicende narrate – ed è inutile girarci attorno: gli espedienti funzionano alla grande.
Naturalmente, essendo il gameplay così vincolato alla storia, la scrittura deve essere valida e interessante, pena il crollo di una formula che si appoggia completamente su di essa.
Ambientato nell’universo narrativo del fumetto creato da Robert Kirkman (e dell’omonima serie tv) e composto da cinque episodi, il progetto guidato da Sean Vanaman e Jake Rodkin riesce per fortuna a esaltare ulteriormente il già comprovato talento dei Telltale: l’ottima scrittura, caratterizzata da quantità davvero atipiche – almeno nel campo dei videogiochi – di ferocia e disperazione, tratteggia personaggi credibili alle prese con una serie di eventi sempre più estremi. I protagonisti di “The Walking Dead” sono infatti continuamente spinti al limite all’interno di un mondo realmente marcio che non risparmia nessuno, in un susseguirsi di situazioni critiche che vengono (quasi) sempre ottimamente ‘caricate’ per poi esplodere in alcune sequenze chiave e nei climax di fine puntata (due esempi su tutti: la rivelazione nel secondo episodio o l’atmosfera da ‘resa dei conti’ nell’ultima parte della serie). La qualità generale non ha nulla da invidiare allo storytelling riscontrato nell’incarnazione televisiva e, anzi, la scrittura dei Telltale risulta in diverse occasioni anche più felice rispetto a essa.
Da sottolineare anche un’importante dose di crudeltà, spesso al limite del sadismo, che gli autori sono riusciti a infondere in molte sequenze facendo leva più sull’impatto emotivo che sull’aspetto gore (comunque presente) e coinvolgendo anche – con una certa audacia – i bambini protagonisti. In ogni caso, pur non concedendo sconti di nessun tipo, la narrazione di “The Walking Dead” non sconfina mai nel gratuito.
Dal momento in cui la storia scandisce il gameplay, ne consegue non solo che il gioco sia generalmente più riuscito quando la qualità del racconto risulta più elevata, ma anche che il più delle volte il ritmo dell’intreccio detti quello ludico. Da questo punto di vista gli sceneggiatori sono abili nell’alternare momenti introspettivi costituiti da dialoghi e improvvise accelerazioni ricche di azione; l’interesse resta vivo lungo l’intera durata grazie anche a un’intelligente costruzione del pathos e del crescendo narrativo, che regala una trama sempre più drammatica fino all’ultimo, solitario, episodio conclusivo.
A questo punto è curioso – e paradossale – constatare come gli autori non abbiano avuto il coraggio necessario per abbandonare del tutto la struttura classica delle avventure: gli unici momenti di stanca di “The Walking Dead” risiedono infatti nelle blande sezioni più adventure (perlopiù concentrate nel terzo e nel quarto episodio), in cui il giocatore possiede una certa libertà di movimento ed è chiamato a risolvere enigmi canonici (sebbene estremamente semplificati) – un ‘difetto’, per così dire, già riscontrabile in “Jurassic Park” e, soprattutto, in “Back to the Future”.
In ogni caso, per quanto lo sforzo tecnico sia notevole e lo stile grafico riesca a ricreare l’aspetto del fumetto mascherando in parte i limiti di budget, ciò che strappa davvero l’applauso è la ‘regia’ delle scene, non solo per la scelta delle inquadrature ma per l’utilizzo oculatissimo di pause, sguardi, linguaggio del corpo e silenzi. La messa in scena del gioco/film, caratterizzata da una cura e un’attenzione veramente rare nel mondo dei videogiochi, riesce realmente a comunicare sensazioni, pensieri e stati d’animo, innescando una fortissima empatia che culmina nel tenero ma difficile rapporto fra Lee e Clementine.
L’elemento centrale dell’avventura è certamente il sistema di scelte, a detta degli autori mutuato da “Heavy Rain” della Quantic Dream. I vari dilemmi morali, già presenti in molti titoli di stampo gdr, sono presentati in modo da rendere il confine fra scelta giusta e sbagliata estremamente sottile e mai realmente chiaro: può infatti capitare di compiere una decisione dolorosa ma necessaria, o di supportare un amico solo per una questione affettiva e non per vera onestà.
Come facilmente immaginabile, le scelte non modificano la direzione della trama ma stabiliscono la presenza o meno di alcuni personaggi e il loro rapporto col protagonista. La ‘personalizzazione’ dell’avventura può contare su un numero di variabili molto elevato e fatto di decisioni piccole e grandi, le cui conseguenze si possono osservare anche dopo diverso tempo (perfino negli episodi successivi).
L’idea di influenzare effettivamente l’andamento della storia è ben implementata (con tanto di teaser trailer a fine episodio che tiene conto delle decisioni precedentemente intraprese), ma c’è da tener presente che l’intenzione, in linea con le tematiche della storia (e delle fonti originali), resta in realtà quella di sottoporre continuamente i protagonisti a una vera e propria prova di umanità in cui il peso delle scelte morali influenza la sopravvivenza di se stessi e di chi sta intorno a loro.
Tale aspetto costituisce l’elemento ludico di maggior spessore, e riesce a incrementare ulteriormente l’immedesimazione.
Infine, ottime le performance vocali degli attori coinvolti, mentre per quanto riguarda l’apporto musicale il sempre affidabile Jared Emerson-Johnson compone uno score che ben accompagna le immagini.
L’approccio eccessivamente analitico rischia di svilire la reale qualità di “The Walking Dead”. Sebbene sia interessante osservare la sua struttura (non?)ludica, il modo migliore per godersi l’avventura è quello di viverla senza pregiudizi: al di là di qualche piccola caduta di tono, si è di fronte a una gran bella esperienza interattiva.
La citazione:
Chuck: Devi considerarla come una persona VIVENTE. Questo è quanto. O sei vivo o non lo sei. Non sei una ragazza, non sei un ragazzo, non sei forte o intelligente. Sei vivo.
Gennaio 29, 2013 martedì at 12:00 am