Psychonauts
Secondo il dizionario "De Mauro Paravia":
Originale: agg., che non imita o ripete modelli precedenti, nuovo e personale.
Geniale: agg., che denota ingegno, che nasce da una felice intuizione.
“Psychonauts” è originale, geniale, e molto di più. Uno di quei titoli per cui rimanere a bocca aperta di fronte alla fantasia, le intuizioni e le ispirazioni dei programmatori. Un raro esempio videoludico urlante a pieni polmoni che la creatività non è appiattita dal mercato di massa, e che è ancora possibile sfoggiarla con prepotenza attraverso uno schermo. Un'esperienza che nella sua deliziosa imperfezione finisce per lasciare per sempre il segno.
Il titolo porta la firma di Tim Schafer, autore di unica intelligenza che aveva già affascinato con il roboante “Full Throttle” e l'intenso “Grim Fandango”: “Psychonauts” rappresenta, forse, l'opera più difficile e temeraria del designer/scrittore americano, qui alla sua prima esperienza dopo il trasferimento dalla gloriosa LucasArts alla casa indipendente Double Fine. Il gioco, il primo edito da un ex-Lucas dopo l'esodo avvenuto fra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio, è stato fortemente voluto da Tim durante l'incredibile e barcollante produzione, iniziata nel 2001 e terminata solo nel 2005 grazie all'apporto economico della Majesco.
Il plot è, da solo, originale e geniale nella sua semplicità. Nel campo estivo 'Whispering Rock Phychic' si addestrano gli 'Psiconauti', agenti speciali dotati di poteri psichici in lotta contro il terrorismo. L'abilità più utile e caratteristica degli Psiconauti è quella di entrare fisicamente nelle menti delle persone, esplorando, indagando e - se tutto va bene - sconfiggendo 'dall'interno' l'oscurità dei propri nemici. Razputin è un ragazzino di circa dieci anni che approda clandestinamente (ovvero senza il consenso dei genitori, acrobati in un circo) al campo. Protagonista dell'avventura e personaggio che controlleremo nel gioco, 'Raz' è una delle menti più potenti che si siano mai viste: nonostante il suo più grande desiderio sia cominciare il training per diventare uno Psiconauta, si troverà presto coinvolto in un intricato e imprevedibile caso che getta le sue radici proprio all'interno del campo: la minaccia non solo si estenderà al mondo intero, ma soprattutto a Lili, la bella ragazzina di cui Raz sembra essersi invaghito.
Specializzato nella realizzazione di avventure grafiche, Schafer ha da sempre sostenuto che il gameplay debba adattarsi alla trama e non viceversa, lasciando che si narri attraverso il gioco e non solo con l'ausilio di infinite cutscene fra un enigma avulso dal contesto e l'altro. Per questo, “Psychonauts” non può qualificarsi come un'avventura grafica, ma più genericamente come… un platform.
Prima di gridare allo scandalo, però, sarebbe meglio precisare che la definizione appare a dir poco stretta e inadeguata: Schafer mantiene la promessa di plasmare il gioco alle esigenze della storia, e fa di “Psychonauts” un platform con forti componenti di sparatutto, di free roaming, di gioco di ruolo e, sì, a tratti anche di avventura grafica.
Il livello di addestramento del Coach Oleander sarà caratterizzato da atmosfere stereotipate di stampo militare.
Il gioco colpisce fin dalla grafica. Ben lontano da velleità fotorealistiche e privo di effetti esageratamente pomposi, “Psychonauts” tenta - con successo - di ricreare un aspetto senza tempo, molto difficile attraverso il 3D totale. Ecco quindi che il character design appare indefinito, praticamente inedito: pur trattandosi di una storia ambientata nel nostro mondo, i personaggi hanno infatti un aspetto ai limiti del caricaturale, con teste a volte molto grandi, denti sporgenti, occhi enormi e così via. I connotati di ogni personaggio risultano allora unici e subito riconoscibili, riflettendo la personalità direttamente sul proprio aspetto fisico. Il risultato è un apparato visivo di certo non troppo avvenente, ma maledettamente funzionale: il design grafico alternativo e volontariamente spigoloso, unito anche ad un numero di animazioni veramente notevole, rende il gioco da questo punto di vista molto longevo e fresco. Missione compiuta.
Le ambientazioni, poi, sono uno dei punti d'eccellenza dell'avventura.
Pur essendo collocato nel nostro mondo ai giorni nostri, “Psychonauts” è infatti in gran parte ambientato nelle menti altrui. Ed è il delirio: le scenografie - le scenografie - ognuna diversissima dall'altra - sprizzano visionarietà da tutti i pori, perfettamente coerenti con il background narrativo del personaggio 'esplorato dall'interno'. Avremo ossessioni, pallini, traumi, velleità, paranoie… il tutto sotto forma visiva: ad ogni angolo può essere presente un dettaglio curioso che può aiutare a conoscere la mente 'invasa'. Ma di questo aspetto ne parleremo meglio più tardi.
Come giusta conseguenza di ciò, la colonna sonora deve adattarsi a ciò che si vede sullo schermo. La parola d'ordine è ancora una volta varietà: Peter McConnell (fedele collaboratore di Schafer) compone un'ottima partitura, esemplare accompagnamento all'interno dei vari ambienti. Il risultato finale è abbastanza buono da aver meritato un'uscita autonoma su CD: le musiche forse non scatenano l'impulso di accendere lo stereo di casa, ma restano piacevoli e orecchiabili anche da sole, in particolare il main theme degli Psiconauti, solenne e militaresco.
Sul doppiaggio non c'è poi molto da dire, poichè è semplicemente perfetto. Va segnalato però che “Psychonauts” è stato reso disponibile unicamente in lingua inglese, e purtroppo è stato caratterizzato da una distribuzione molto carente qui in Europa. Quei pochi fortunati che sono riusciti ad accaparrarsi una copia (parlo di quelle fisiche, poiché il gioco è comunque reperibile in forma digitale, ad esempio su Steam), possono comunque trasformare tutti testi in italiano grazie all'incredibile patch di traduzione ad opera della sinergia fra DewosBlog.it e Lucasdelirium: un lavoro eccezionale (nonché titanico: la mole dei dialoghi è impressionante), tranquillamente al di sopra della media degli adattamenti professionali, che riesce nel difficile compito di non snaturare il linguaggio - a volte molto particolare - utilizzato dai personaggi.
La qualità degli effetti sonori è infine garantita dall'apporto dell'invincibile "Bay Area Sound", fra cui figurano i nomi del buon vecchio Clint Bajakian e del futuro Telltale Jared Emerson-Johnson.
Ford Cruller è lo stimato - ma un po' suonato - Psiconauta anziano. Lo vedremo comparire nei posti più improbabili, con indosso un pessimo travestimento.
Qualche parola anche sui controlli. Precisi e puntuali, soffrono su PC di un inevitabile problema di trasposizione da console (il gioco è uscito inizialmente per Xbox e PS2) riguardo la posizione dei tasti e il numero di slot disponibili per il salvataggio (solo cinque). Niente di così grave: i controlli sono editabili e la struttura del gioco impedisce un vero e proprio game over (se moriremo, usciremo semplicemente dalla mente 'invasa' e potremo ripartire da capo), limitando quindi la necessità di salvare in continuazione. Inoltre, il free roaming garantisce la possibilità di ripetere i vari livelli ogni volta che vorremo, tenendo costantemente memoria dei nostri progressi anche grazie ad un save automatico (resumabile con l'opzione 'Continua').
L'inventario ricorda quello di un'avventura grafica. La stessa struttura verrà anche adottata per selezionare i poteri psichici che vorremo avere sotto mano.
Quanto detto finora può essere considerato un contorno, un (buon) aiuto tecnico per rappresentare ciò che l'autore desidera. I classici aspetti che, se non supportati da un forte background creativo, rischiano di far crollare il risultato finale.
Per fortuna, nel nostro caso il meglio deve ancora venire.
Innanzitutto, “Psychonauts” è un videogioco. E' un qualcosa, cioè, pensato per funzionare esclusivamente all'interno di un contesto videoludico. Da questa purezza d'intenti parte quindi un'avventura che va vissuta a fondo, esplorata e compresa. Non si può provare “Psychonauts” per appena una mezz'oretta e pretendere di farsi un'idea: bisogna invece immergersi, con pazienza e costanza. E' una storia fatta di dettagli, di cura maniacale e, soprattutto, di un ingrediente segreto che mai dovrebbe mancare in un'opera di ingegno: l'anima.
Trattandosi un titolo improntato principalmente sull'umorismo, l'idea di poter esplorare di persona l'interno delle menti altrui può già da sola scatenare diverse gag: i primi minuti, infatti, appaiono come un calderone stracolmo di idee curiose. E così abbiamo, ad esempio, i 'bagagli emotivi' (dei valigiotti depressi) che, con la giusta etichetta, possono tornare a sorridere e 'sbloccarci' qualche secret; le 'casseforti della memoria', saltellanti e difficili da prendere, che aprono i ricordi più nascosti; i 'censori', che attaccano tutto ciò che nella testa è dimenticabile o superfluo (anche noi invasori, quindi!); le 'ragnatele mentali', posti dimenticati e polverosi che offuscano la mente, e così via: ogni aspetto del 'gioco' è perfettamente coeso ludicamente con il concept narrativo, e ha sempre una sua precisa funzione all'interno di esso, a cominciare dalla semplice barra di energia di Raz, identificata come 'salute mentale'.
La Levitazione potrà essere usata non solo per saltare più in alto e più lontano, ma anche per correre più veloce.
Il cuore del gioco vero e proprio è poi composto dall'upgrade del nostro avatar/protagonista, che non si limita ad un incremento della sua 'salute mentale', ma anche all'acquisto di 'poteri psichici' particolari (potenziabili a loro volta) con l'aumento dell'esperienza: telecinesi, chiaroveggenza, invisibilità, levitazione, pirocinesi, precisione di tiro, scudo, confusione. Attraverso l'oculato utilizzo di essi, Raz potrà non solo superare gli ostacoli principali, ma anche avere accesso ad alcuni dei tantissimi secret, finezze, particolari nascosti e non, che spesso agevoleranno proprio la crescita del nostro eroe.
L'importanza delle suddette 'capacità' è tale da poter tranquillamente affermare che la vera sfida del gioco risieda nel saperle utilizzare correttamente, e non nella difficoltà dei livelli veri e propri. Un simile concetto può anche ricondurre ad un buon design di un'avventura grafica (i poteri, in un certo senso, sostituiscono a tratti i famosi 'verbi' delle interfacce adventure): comprendere cosa fare, prima del come, far leva cioè sul potere giusto quando si comprende effettivamente il problema che si ha di fronte. Qualche esempio? L'invisibilità può essere utile per sgattaiolare non visti, la chiaroveggenza - se usata su una videocamera ad infrarossi - ci permetterà di vedere perfettamente l'ambiente in terza persona, la levitazione può farci raggiungere piattaforme molto elevate, la pirocinesi potrà rivelare luoghi nascosti incendiando le balle di fieno. Insomma, non c'è veramente limite alla fantasia degli autori nel mettere il giocatore nella posizione di poter utilizzare creativamente i poteri psichici.
Non vanno neanche sottovalutati quei dettagli 'di contorno' a cui ci aveva ben abituato la scuola Lucas. Di numero elevatissimo e a volte improbabili, fanno certamente la differenza nel giudizio finale: impossibile negare che è grazie ad essi che si viene conquistati definitivamente. Provate quindi, utilizzando la chiaroveggenza sui vari personaggi, a guardare il nostro aspetto visto attraverso gli occhi dei nostri amici (avremo un risultato sempre diverso!), o ad incendiare gratuitamente un gabbiano, o ancora a rendersi invisibili nei momenti più disparati… ce n'è davvero per tutti i gusti, ed è praticamente impossibile riuscire a vedere tutte le chicche disseminate nel gioco.
Come se non bastasse, Raz potrà anche intraprendere piccole sottoquest alternative atte a potenziarsi ulteriormente, come la caccia al tesoro organizzata all'interno del campus.
Tutto ciò basterebbe ed avanzerebbe per realizzare un ottimo gioco, ma “Psychonauts” merita il rango di capolavoro grazie alla genialità del design dei livelli che, ancora una volta fedele con la struttura del gioco, permette di ottenere ogni livello del tutto diverso dall'altro.
Un livello non è che una 'mente', e rispecchierà le particolarità del personaggio 'invaso', con pesanti implicazioni sul gameplay. L'unicità di “Psychonauts” sta proprio nel muoversi all'interno delle diverse menti (il più delle volte assolutamente folli) senza mai aver modo di annoiarsi.
Saremo comunque liberi di riesplorare le teste già precedentemente invase, magari per raccogliere qualcosa che ci è sfuggito al primo passaggio, o anche solo per goderci un'ambientazione che avevamo particolarmente amato.
In ogni caso, il level design è sempre eccellente, e ogni 'viaggio nella mente' è a suo modo indimenticabile, riuscendo nel difficile compito di mantenere sempre alto l'interesse del giocatore e sorprendendo ad ogni angolo sia per le idee ingegnose (che non accenneranno a diminuire fino al termine dell'avventura), sia per la profondità e varietà unica del gameplay (sembra di giocare a una dozzina di titoli diversi).
La precedentemente citata anima fluttua lungo tutta l'avventura, facendo capolino di continuo ad ogni idea ispirata, ma diventa del tutto palpabile una volta superata la prima oretta, ovvero quando si ha familiarizzato abbastanza col sistema di gioco e il tipo di universo.
Schafer aveva già dimostrato di saper essere un narratore umoristico di grande cervello (mai come in questo caso il termine è azzeccato) con il suo “Grim Fandango”, miscelando comicità con messaggi in realtà molto seri all'interno di un contesto fantastico. “Psychonauts” risulta addirittura più ispirato da questo punto di vista, a cominciare dall'originalità del mondo solo parzialmente irreale e per proseguire con la speciale tecnica narrativa, decisamente una delle più geniali che abbia mai visto in un videogioco.
Nella mente di Fred Bonaparte, dovremo elaborare una strategia militare efficace per sconfiggere la sua schizofrenia.
La sceneggiatura, infatti, non è particolarmente elaborata, seppur raccontata con la solita invidiabile maestria. Prima di raggiungere la metà del gioco, in seguito ad un colpo di scena, la narrazione subisce poi una parziale battuta d'arresto, lasciando Raz a perlustrare in libertà le varie menti (per poi impennare nuovamente sul finale grazie ad una serie di intuizioni inaspettate quanto ingegnose).
Ma non creditate che “Psychonauts” smetta di narrare, anche solo per un minuto. Per ingannare la struttura generalmente anti-narrativa del free roaming, Schafer escogita infatti una trovata che a questo punto può sembrare scontata, ma che in realtà cela la sua originalità proprio perché consequenziale e, quindi, coerente: raccontare i personaggi attraverso il gioco, ovvero lungo le invasioni nelle loro menti.
Se, quindi, per fare un paio di esempi, il 'mondo mentale' di Sasha Nein, uno Psiconauta freddo e impeccabile, apparirà come un cubo perfettamente ordinato e pulito, la mente del paranoico Lattaio risponderà a leggi della gravità tutte sue, e sarà disseminata di telecamere in ogni dove e di agenti governativi goffamente in borghese.
Le già citate 'casseforti mentali', inoltre, potrebbero svelare le angosce e i motivi di 'disturbo' delle varie menti (rappresentati attraverso una serie di disegni in stile comics), e Raz potrà, a volte, bonificare questi 'demoni' dall'interno proprio grazie alla sua combattiva presenza.
Nel gioco non mancano i 'boss': generalmente sono abbastanza semplici da sconfiggere, a patto di scoprire il loro tallone d'Achille.
E' quindi facile intuire come, attraverso questo strepitoso escamotage, l'autore usi l'umorismo per esporre temi sottocutanei che non fanno ridere per niente, e così l'ilarità a volte lascia sorprendentemente il posto all'inquietudine, all'angoscia, e a volte perfino allo spavento. Da grande autore quale è - probabilmente il migliore dell'era Lucas (!) - Schafer dimostra quindi di essere perfettamente a suo agio con atmosfere grottesche e saltuariamente dark, gestendole efficacemente in mezzo a tonalità prevalentemtene comiche per far arrivare diritti al cuore messaggi intensi e, soprattutto, positivi (ma sì, in fondo è un tenerone).
Naturalmente, in taluni episodi questo aspetto è più efficace di altri. Come esempio culmine, vanno menzionati i livelli conclusivi (occhio: la natura platform del gioco griderà vendetta, e saranno più ardui della media), durante i quali Raz dovrà confrontarsi contemporaneamente non solo con i suoi spettri personali ma anche con la follia del villain (eheh, vedeste come): un vero delirio grandguignolesco, minaccioso e schizofrenico, caratterizzato da un'angoscia senza pari mascherata da sfumature tragicomiche (uhm, forse 'senza pari' no, ma è passato così tanto tempo dall'ultima volta). Memorabile. Ma non temete: ancora una volta, l'epilogo riserva sorprese incoraggianti (grazie, Tim).
Paradossalmente, è proprio in questi aspetti eccezionali che risiede l'unico, vero, (piccolo) grande difetto di “Psychonauts”: è troppo breve.
Fermi lì, non intendo quello che probabilmente avete pensato: il gioco, infatti, veleggia sulle 25 ore di gioco in media (ammesso che vi fermiate a riesplorare i livelli), e sia la struttura che i temi sembrano 'assecondare' il giocatore a vivere fino in fondo l'esperienza, svantaggiando un po' il giocatore casuale in cerca di soli 30 minuti di gioco intenso.
Ma c'è un - se così vogliamo chiamarlo - problema. Entrare nelle menti altrui, con tutto ciò che ne consegue, ci porterà a conoscere i personaggi in maniera perfino più profonda di una serie (anche molto lunga) di dialoghi introspettivi: sarebbe stato bello, però, vederli interagire in modo più incisivo all'interno della vicenda. Conosciamo le loro personalità, i segreti, le paure, ma restano purtroppo limitate, quasi sempre rinchiuse esclusivamente nel livello a loro dedicato.
I ragazzi del campus, inoltre, sono tutti dotati di un background e di una caratterizzazione precisa, ma solo a due o tre di loro viene dato lo spazio che ci si aspetta.
In altre parole, la funzione dei vari personaggi viene circoscritta alle esigenze di sceneggiatura, ed è davvero un peccato: il mondo di “Psychonauts” è così vivo, pulsante e particolareggiato, che viene da desiderare di approfondire ogni singola vicenda personale, e vederla evolvere, crescere. Riscontrare, insomma, un qualche tipo di 'riflesso' delle conoscenze acquisite sui personaggi in seguito al viaggio mentale, magari sfruttando in qualche modo quelle informazioni o semplicemente per interagire con personalità che oramai conosciamo così bene.
Per concludere, “Psychonauts” è un'avventura, un'opera, un gioco sincero e ambizioso che meriterebbe di essere studiato all'università per la carica sperimentale, per la sferzata di 'originalità' e per l'incredibile level design. Degno di essere annoverato fra i grandi classici, il titolo soffre forse di un unico inconveniente, conseguenza dell'eccellente e geniale struttura videoludico/narrativa.
Probabilmente, solo una saga intera avrebbe soddisfatto anche questo genere di bisogni, quindi è proprio il caso di dire che non si può avere tutto. Voto: 4 su 5.
La citazione:
(Gli Psiconauti catturano un intruso)
Milla Vodello: “E' solo un ragazzino! Come ti chiami, caro?”
Coach Oleander: “Lo scoprirò io…”
(Il Coach cerca di penetrare nella mente del ragazzo, senza successo)
Coach Oleander: “Non… riesco… ad entrare…!”
Sasha Nein: “Eccezionale!”
Coach Oleander: “E' corazzata come un carro armato!”
Razputin: “Il mio nome…”
Coach Oleander: “Comincia per 'D'!”
Razputin: “…è Razputin. Ma tutti quanti mi chiamano… Raz”
 
Nota: Questo articolo probabilmente non sarebbe mai nato senza l'apporto del guru Diduz di Lucasdelirium, non solo co-autore dell'ottima patch che traduce tutti i testi del gioco in italiano, ma anche responsabile diretto della consegna, nelle mani del sottoscritto, di una rarissima copia di “Psychonauts” su supporto (non di importazione), senza la quale non avrei mai potuto giocare a questo must.
Quindi, un gigantesco ringraziamento da parte mia (anche per la locandina che vedete).
by Gnupick
Commenti (2)
Forse con qualche spoiler di troppo, ma rende veramente bene (per quanto sia possibile a parole...) l'idea di cosa sia questo gioco/capolavoro.
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Recensione Psychonauts. Gnupick's corner, l'angolo delle avventure grafiche. Recensioni, commenti, schede, analisi, retrogaming, discussioni su graphic adventures ed altri videogiochi non solo punta e clicca. Recensioni di giochi per PC con visuale in prima persona o in terza persona.
Ottimo gioco,sensazione.
peccato l'abbia per la ps2 perché solo inglese.Si capisce comunque però con la patch avrei potuto goderne appieno.