Indiana Jones and The Fate of Atlantis
La saga di “Indiana Jones” ha ridefinito, dall'inizio degli anni '80 in poi, i nuovi canoni del cinema d'avventura. Mescolando sapientemente leggende antiche con visioni moderne dell'occulto, e tenendo il tutto legato insieme da un protagonista eccezionale senza eguali, la serie ideata da George Lucas e diretta da Steven Spielberg è da tempo una pietra di paragone per l'adventure intelligente e ben dosato. Le imitazioni si sono susseguite per anni fino a sconfinare proprio nel campo videoludico con la controversa (e sopravvalutata) Lara Croft nell'ottimo “Tomb Raider”. Diverso tempo prima dell'exploit della pompata avventuriera inglese, la LucasArts utilizzò i diritti del franchise di Indiana Jones per creare due avventure grafiche. Mentre la prima, “Indiana Jones and The Last Crusade”, era ispirata al terzo episodio della saga, la successiva, “Indiana Jones and The Fate of Atlantis” fu un progetto del tutto originale diretto da Hal Barwood (uscito fra il '91 e il '92), un vecchio collaboratore del buon Steven. Prima del rilascio del videogioco, venne pubblicato un fumetto della Dark Horse che ripercorreva la stessa trama, e anche un arcade poco ambizioso.
“Indiana Jones and The Fate of Atlantis” è ambientato a cavallo fra il terzo film della serie e la seconda guerra mondiale (nel 1939, per essere esatti): il Dottor Jones è stato incaricato da un misterioso 'Signor Smith' di ritrovare una strana statua celata proprio nella sua università - il Barnett College. La statua sembra provenire da Atlantide, la mitica Città Perduta altamente evoluta che, secondo la leggenda, si inabissò nell'oceano in seguito ad una misteriosa calamità.
Dopo aver ritrovato la statua, il signor Smith, rivelatosi da lì a breve una spia nazista di nome Klaus Kerner, scopre all'interno della stessa una perlina di orichalcum, un particolare metallo citato più volte dal filosofo greco Platone proprio a proposito della Città Perduta.
Scopo dei nazisti, ancora una volta nemesi del Professor Jones (come nel primo e terzo film), è riportare alla luce Atlantide per carpirne i segreti e utilizzarli per la conquista del mondo. Una dimostrazione del potere della Città deriva dall'orichalcum stesso, capace di sprigionare un grande quanto misterioso potere.
Indy dovrà precederli, ovviamente, cercando di battere sul tempo il Terzo Reich. Sarà aiutato da Sophia Hapgood, una bizzarra ex-collega/fiamma che ha preferito rinnegare l'archeologia per dedicarsi al mestiere di medium: pare, infatti, che fra i reperti recuperati in passato e da lei non rivenduti per profitto personale, ci fosse uno strano medaglione di Atlantide che la lega ad una misteriosa divinità di nome Nur-Ab-Sal, forse esercitando su di lei un qualche tipo di influenza negativa (dove l'ho già sentita questa?).
Il primo passo dell'inedito duo sarà impossessarsi di uno dei Dialoghi perduti di Platone, chiave fondamentale per dipanare il mistero di Atlantide.
Puntualizzo che il gioco sposa una teoria ormai desueta secondo la quale la Città Perduta si trovi da qualche parte nel Mediterraneo, piuttosto che appoggiare le nuove scoperte che ubicano Atlantide nell'Antartide, così come ipotizzato dai recenti lavori di fiction fantastica.
Come si può facilmente notare, il plot è abbastanza complesso da poter essere tranquillamente l'incipit di un film della serie. La sensazione è avvalorata dagli ottimi dialoghi squisitamente cinematografici e in linea con la saga, in cui la parte del leone la fanno Indy stesso (molto simile nei modi alla sua controparte filmata, se si esclude una leggerissima nota 'guybrushiana') e Sophia (una gustosa via di mezzo fra le tre Indy-girls della saga: forte e determinata come Marion, viziata come Willie e con un accento oscuro a là Elsa). In effetti, i due sono i personaggi più riusciti dell'avventura, che si oppongono ai bidimensionali villain. E' da segnalare, comunque, che i 'cattivi' nei film di Indy non sono mai stati particolarmente spessi, e che il loro retaggio nazista è un modo semplice ma efficace per creare dei facilmente identificabili concorrenti del nostro eroe. Ciononostante, è evidente da subito come sia a Kerner che a Ubermann (lo scienziato nazista) manchi il carisma di un Donovan o di un Belloq.
I comprimari, d'altro canto, sono divertenti e complessivamente riusciti, come l'arzillo Costa nelle isole Azzorre, o il mercenario Sternhart.
In ogni caso, la trama è sempre intrigante e riserva più di un colpo di scena. Le locazioni sono tutte varie e interessanti - dalla lussuosa MonteCarlo alla polverosa Algeri, dal criptico labirinto di Knossos all'abbandonata isola di Thera - fino a culminare nella splendida architettura minoico-decadente di Atlantide, fredda e spettrale come le ultime ore di gioco.
Si può quindi intuire che a tale varietà corrisponda anche una discreta diversità di enigmi e situazioni. E' proprio così, infatti: “Fate of Atlantis” è un'avventura quasi atipica rispetto agli standard lucasiani, con parecchie sequenze arcade, la possibilità di morire e diversi modi di risolvere alcuni enigmi. Eredità di “The Last Crusade”, queste caratteristiche sono state smorzate rispetto al predecessore e rese meno frustranti: il compromesso è più che accettabile. Un esempio è rappresentato dalle famose 'scazzottate' che distinguevano i momenti più temibili di “The Last Crusade”: questa volta sono quasi tutte evitabili, e comunque è possibile 'rimandare' lo scontro fuggendo via in qualsiasi momento. Lo stesso vale per la complessità degli enigmi da risolvere in più di un modo e per le situazioni 'a rischio' per la vita del protagonista: il tutto è stato abilmente snellito e non si arriva mai ai livelli distruttivi del gioco precedente (ricordo ancora con un brivido la perlustrazione del castello nazista di Brumwald e la 'gita' sul sidecar fra i posti di blocco tedeschi). Come accaduto con Henry Sr nel precedente capitolo, anche questa volta controlleremo un altro personaggio, anche se in modo molto più semplice e lineare: Sophia infatti sarà 'pilotata' dal giocatore in un paio di brevi momenti.
Tirando le somme, gli enigmi di “Fate of Atlantis” non sono mai scoraggianti né troppo ardui da risolvere, nonostante la grande varietà e l'obbiettiva lunghezza dell'avventura. Inoltre, il pixel hunting è praticamente assente.
C'è però da segnalare che un paio di sezioni avrebbero potuto essere gestite meglio, come quelle relative alla navigazione dell'U-Boat tedesco o al pilotaggio della mongolfiera.
E' anche presente una certa 'randomizzazione' di alcuni puzzle, ad esempio quelli relativi alle varie combinazioni con le Pietre di Atlantide, che aumentano (seppur di un minimo) la rigiocabilità.
Oltre alle (comunque poche) sequenze arcade, gli enigmi spaziano dalle classiche manipolazioni dell'inventario a puzzle dialogati, inseguimenti e un paio di macchinari da attivare. Non c'è proprio modo di annoiarsi.
Interessante è, infine, la scelta di intraprendere tre percorsi diversi che modificheranno l'avventura per circa metà della sua durata: modalità ingegno (solitaria e più riflessiva), squadra (in coppia con Sophia) e pugni (sempre da soli ma orientata più all'action). In pratica, la scelta ingegno risulterà la sfida più dura delle tre e anche l'unica che ci permetterà di visitare tutte le locazioni del gioco (anche se non c'è nulla da fare alle rovine di Knossos); con squadra avremo l'impagabile Sophia al fianco che ci indirizzerà nel percorso giusto (sarà del tutto assente la sezione a Thera, però) e che ci delizierà nei duetti con Indy; infine, con pugni, forse la modalità più semplice, l'accento sarà posto sulle scazzottate, che non saranno sempre evitabili come invece accadrà con le altre due (inoltre, mancherà la locazione del sottomarino tedesco). In ogni caso, le tre scelte sono a loro modo interessanti e finiremo per provarle tutte, anche perché la trama subirà delle lieve modifiche (per fare un esempio, con la modalità ingegno l'antiquario Omar Al-Jabbar di Algeri è dalla parte dei nazisti, mentre è loro nemico in pugni e in squadra).
Anche sul fronte audiovisivo, comunque, c'è da sfregarsi le mani. La grafica è ottima al pari di quella del subito precedente “Monkey Island 2 - LeChuck's Revenge”, anche se scevra dalle esagerazioni simil-demenziali di Guybrush e soci, e l'intera sezione di Atlantide, come già citato prima, è sicuramente da ricordare. Raramente, poi, ci saranno zoommate o animazioni particolari che volontariamente tradiranno la natura cinematografica del titolo.
L'audio merita un discorso a parte: mentre gli effetti sonori sono stranamente poco numerosi e neanche particolarmente riusciti, la musica comprende una colonna sonora sempre presente che si adatterà al contesto (proprio come in “Monkey Island 2”) composta dal 'tridente' lucasiano McConnell-Land-Bajakian, che sorprende in quanto a complessità e a bellezza dei temi, sempre azzeccati alla situazione (come quelli dal sapore mediorientale in Algeria, i toni mistici di Atlantide e le marce dei Nazisti). Ovviamente, sono presenti anche ottimi rimaneggiamenti della famosa “Raiders March” di John Williams.
Purtroppo, sembra proprio che le tante sfaccettature rappresentino anche il vero problema della musica, costretta ad 'accontentarsi' di strumenti campionati midi (il massimo permesso ai tempi) che attenuano di molto l'effetto finale, molto più di quanto accadeva con “Monkey Island 2”. Bajakian, comunque, si prenderà la sua rivincita con la splendida sinfonica partitura di “Indiana Jones e La Tomba dell'Imperatore”.
La versione da me provata è completa di parlato (in inglese) ben recitato, di cui segnalo la voce di Indy, che imita bene quella di Harrison Ford, e quella di Ubermann, che invece ho trovato del tutto out of character, reso come uno scienziato pazzo praticamente uguale al dr Fred (sì, proprio quello di “Maniac Mansion - Day of the Tentacle”: non a caso si tratta del medesimo doppiatore!). In generale, il lavoro è comunque discreto anche se ci si sarebbe aspettato qualcosa in più.
Per chiudere, una parola sull'interfaccia che riprende lo SCUMM in una versione alleggerita, reduce dal solito gilbertiano “Monkey Island 2”: occuperà quindi la parte inferiore dello schermo per un quarto dello spazio, salvo durante i divertenti (forse troppo) titoli di testa in cui sparirà completamente e avremo per la prima volta schermate intere.
“Indiana Jones and The Fate of Atlantis” rappresenta, a ragione, una pietra miliare delle avventure grafiche ed è una tappa fondamentale per ogni videogiocatore che si rispetti. Degnissimo rappresentante dell'epoca d'oro delle avventure, “Fate of Atlantis” non raggiunge, a mio avviso, il rango di capolavoro assoluto a causa di marginali sbavature in alcune sequenze arcade e nel comparto audio. Comunque, è sicuramente un must play: 4 su 5.
La citazione:
Indiana: “Sai, Sophia, con questa luce somigli a Vivien Leigh”
Sophia: “Francamente, Indy, me ne infischio”
 
Nota: Il gioco è emulato alla perfezione dall'immancabile ScummVM.
by Gnupick
Commenti (3)
è un capolavoro,che lo si voglia o no,ma credo che la recensione di Gnupiclk rispecchi quello che ho pensato di questo episodio di indy.Complimenti ai creatori e complimenti per la recensione.
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Eterna vita a questo capolavoro.
Il giusto voto: 10!
Saluti