Fahrenheit
Nei primi minuti della creatura firmata Quantic Dream (gli stessi di “The Nomad Soul”) e distribuita da Atari, vediamo il giovane Lucas Kane, colto da un'improvvisa trance, uccidere un individuo in un bagno di un bar. Tornato in sé dopo aver colpito a morte l'uomo per tre volte, Lucas decide di fuggire per scoprire cosa gli è accaduto. Intanto il detective Carla Valenti e il suo compagno Tyler Miles hanno in mano il caso. Nella gelida New York del 2009, la caccia è cominciata…
Il game designer/regista/sceneggiatore David Cage (credo che valga la pena ricordare questo nome) ha voluto fortemente questo “Fahrenheit”, un prodotto sperimentale dalla gestazione difficoltosa di ben quattro anni approdato finalmente sul mercato nel 2005. Trattasi di un ibrido unico nel suo genere: una sorta di film (parzialmente) interattivo con sequenze a tempo, rhythm-game, molti bivi narrativi e perfino una goccia di simulatore di vita.
In “Fahrenheit” non è giusto dire che prenderemo il controllo di un personaggio e lo guideremo lungo la vicenda, piuttosto saremo noi stessi a guidare la trama attraverso i numerosi bivi che ci permetteranno di personalizzare l'avventura: le variabili sono molte, anche se lontane dallo stravolgere completamente la storia. Alcune delle suddette scelte modificheranno dei dettagli (senza cambiare comunque il plot principale), altre invece daranno un certo beneficio morale al personaggio che guideremo (lo stesso accadrà se si libererà di alcune necessità fisiologiche) al fine di non farlo cadere in depressione ed abbandonare anzitempo il caso con successivo game over. Non sarà certo l'unico modo per porre fine al gioco: capiterà di 'morire' nei più svariati modi, ad esempio quando Lucas verrà catturato dalla polizia oppure quando cadrà da un cornicione. La morte sarà dietro l'angolo anche nei numerosi rhythm game in cui saremo chiamati a premere la giusta sequenza di tasti che apparirà sullo schermo (sottoforma di due cerchi divisi in quattro spicchi da azionare usando il tastierino delle frecce e quello all'estrema destra) per poter proseguire. Niente paura, perché il salvataggio automatico (che fa uso di checkpoint, nonché di capitoli facilmente richiamabili per cambiare le sorti della storia a nostro piacimento) ci riporterà indietro poco prima aver compiuto il passo falso.
Fin'ora niente di particolarmente innovativo, quindi. Le novità di “Fahrenheit” cominciano dal sistema di controllo: al fine di rendere il gioco il più dinamico e coinvolgente possibile, i programmatori hanno optato per una scelta delle azioni molto particolare. In pratica, mentre in “Fuga da Monkey Island” le azioni venivano scelte scorrendo la lista di quelle disponibili (che si trovavano cioè nei paraggi del personaggio) con PAGUP e PAGDOWN, qui dovremo 'disegnare' col mouse l'azione giusta inerente il tipo di azione, che spesso sarà una linea retta in una delle quattro direzioni. Raramente, invece, capiterà di dover compiere delle evoluzioni più ardite in sezioni pseudo-arcade.
A dire il vero si fatica un po' ad abituarsi a questo sistema, ma dopo poco il processo si snellisce automaticamente. Viene però da chiedersi se si tratta davvero della tecnica più adatta, visto che non perdonerà il minimo sbaglio, specie nei dialoghi in cui dovremo scegliere l'argomento giusto in pochi secondi. Sì, perché anche in quel caso avremo un tempo limitato per porre la domanda che vorremo… in “Fahrenheit” non c'è proprio un attimo di tregua! Sembra, comunque, un'interfaccia atta a favorire soprattutto il pubblico delle console: in particolare mi riferisco al controllo dell'inquadratura che risulta essere alquanto scomodo. Infine, l'inventario è del tutto assente.
Il sonoro, doppiaggio completamente in italiano incluso, è pregevole sia nei suoni che nelle musiche, composte da un nome piuttosto attivo nel panorama cinematografico: Angelo Badalamenti, ricordato soprattutto per il tema principale del “Twin Peaks” di Lynch. In realtà la colonna sonora non è così ricca e gli ottimi brani musicali tendono a ripetersi già dopo la prima mezz'ora. Niente di gravissimo, comunque, ma in un progetto così costoso sarebbe forse stato meglio priorizzare una maggiore varietà.
Graficamente non c'è niente di esaltante rispetto alle grosse produzioni odierne… ma tutto questo perde subito di importanza poiché le animazioni, (anche facciali, nel caso dei protagonisti) ma soprattutto la regia, rendono “Fahrenheit” una gioia per gli occhi, valorizzando al massimo i comunque buoni modelli poligonali che si muovono nel mondo completamente in 3D.
Ed è proprio la regia uno dei punti di forza del prodotto. Dinamica, frenetica e spettacolare, ci immergerà efficacemente nella lunga vicenda, utilizzando anche efficacissimi flashback e split screen per aumentare la tensione o per sottolineare una certa atmosfera. Il già citato sistema di controllo, poi, si adatta molto bene ad alcune particolari sequenze.
Un altro punto a favore è certamente l'impostazione data alla trama. Saremo chiamati ad 'assistere' Lucas, Carla, Tyler e un paio di volte anche il fratello di Lucas, Markus, partecipando alle vicissitudini dal loro personale punto di vista: a volte, per esempio, ci capiterà di occultare le prove con Lucas e di doverle scovare subito dopo nei panni di Carla. L'apparente paradosso è in realtà gestito molto bene e sarà naturale sforzarci al massimo in tutti i ruoli.
La varietà di gioco è, infine, l'ultimo grande punto positivo: non ci sarà assolutamente modo di annoiarsi fra dialoghi veloci, sequenze a tempo, azione pura, piccole deduzioni e perfino un paio di sezioni stealth. Per quanto riguarda gli avventurieri, c'è da dire che sono presenti solo un paio di enigmi 'puri' da avventura grafica, e per il resto il tutto si gioca sulle scelte narrative a bivi e sulla componente pilotata (spesso action) su cui si basa gran parte del progetto.
Non tutto è perfetto, ovviamente, e l'ennesimo rhythm game difficilmente lo accoglieremo con gioia (per non parlare di qualche sequenza gratuita come quella al poligono o quella di sesso), così come spesso ci sentiremo fin troppo pilotati sia nelle sezioni avventurose (ad esempio quelle a casa di Agatha, in cui giocheremo a fare il fattorino) che in quelle arcade (dove il tempismo nel premere un semplice pulsantino che apparirà in primo piano porterà ad evoluzioni incredibili sullo sfondo). In generale, però, una volta entrati nel mood squisitamente cinematografico, sarà facile lasciarsi trasportare dal film e goderci appieno l'interattività concessa.
Ma, visto che il buon signor Cage ha pubblicizzato il prodotto puntando molto sulla trama, bisogna ammettere che anch'essa ha i suoi limiti: in primo luogo i personaggi sono quasi caricaturali e sicuramente poco approfonditi, il che suona strano in una vicenda così impostata, in cui bastava qualche virgola per toccare le corde giuste dell'emotività. Invece abbiamo un protagonista perennemente in balìa degli eventi, una co-protagonista che vorrebbe inutilmente somigliare alla Clarice de “Il Silenzio degli Innocenti” (e con l'infermiere Barney del manicomio che dice “Andrà tutto bene” la citazione è completa) con forme più abbondanti, un compagno di squadra, di colore, che si muove prevedibilmente come un rapper e gioca ovviamente a basket, e un prete ancorato fermamente al suo credo. La fiera degli stereotipi.
La trama, invece, inizia come un buon thriller e l'avvicendarsi dei protagonisti la rende particolarmente avvincente. Purtroppo, dopo un po', il giochetto 'guardie e ladri' viene quasi del tutto abbandonato in favore di una sceneggiatura che prevede dosi massicce di fantastico, ripescando nuovamente nel già visto fra cospirazioni governative, fine del mondo, prescelti e profezie, e che non disdegna l'immancabile duello alla “Matrix” (“Revolutions”, per essere precisi), il classico riferimento alla cultura Maya e varie apparizioni di entità metafisiche. Un po' troppo, direi.
In realtà tutto ciò non è neanche gestito così male (salvo le sequenze finali che francamente sono esageratamente allucinate) e al termine, com'è giusto che sia, tutti (o quasi) i nodi vengono al pettine: però, da un film interattivo, in cui si presupponeva un plot curato ai massimi livelli poiché largamente pubblicizzato, forse era lecito aspettarsi qualcosa in più. Viene naturale pensare che sarebbe bastato poco per rendere le vicende dei nostri eroi ben più appassionanti: relegare il fantastico ad una posizione più marginale, sviluppare meglio i rapporti interpersonali (come quello fraterno fra Markus e il protagonista) ed evitare un paio di scene del tutto gratuite inerenti le relazioni sentimentali (tra cui la pessima storia d'amore fra Lucas e Carla, tenuta insieme in malo modo con il nastro adesivo). In generale, il tutto sarebbe stato probabilmente più avvincente se David Cage fosse rimasto più 'coi piedi per terra', 'accontentandosi' di narrare un buon thriller dal sapore mistico, così come accade durante la prima parte del gioco (non a caso la migliore sotto il profilo della sceneggiatura), mantenendo nel contempo alta la cura per le azioni che cambiano il corso della storia, giacchè nella seconda parte tendono a diminuire un bel po'.
Ma dal punto di vista dell'esperienza globale, in fondo, non c'è poi molto di cui lamentarsi: “Fahrenheit” non offre una sfida ardua al giocatore, ma lo diverte di continuo lungo le sette ore di durata media grazie ad una buona varietà e ad ottime trovate narrativo/visive.
I numerosi bivi e i tre finali disponibili, inoltre, garantiscono una rigiocabilità sicuramente più alta della media dei prodotti in circolazione e una seconda prova non potrà che migliorare il giudizio complessivo.
Un tantino di “Largo Winch - Empire Under Threat” nelle sezioni a tempo e nella varietà di gioco, un po' di “Shadow of Memories” nei bivi narrativi e nel gusto cinematografico, un deja vu da “Leisure Suit Larry - Magna Cum Laude” nei momenti da rhythm game e un tocco di “Broken Sword III - Il Sonno del Drago” nell'impostazione generale, l''ibrido' di “Fahreneheit” rappresenta, forse, il migliore realizzato fin'ora. E' ancora un po' acerbo, e sono presenti diversi margini di miglioramento, ma il buon riscontro del pubblico potrebbe portare alla palpabile possibilità di smussare i difetti nei titoli futuri.
Per finire, alla tanto attesa domanda “Ma quindi è un'avventura grafica o no?” rispondo: “E' davvero così importante?”. Sebbene sia ottenuto con grande fatica e decisamente di misura, il voto è 4 su 5..
La citazione:
Lucas: "Tutto cominciò qui... e dove sennò? New York, la capitale dell'universo...
 
Nota: “Fahrenheit” riesce a girare discretamente anche su macchine non recentissime. In generale la resa grafica è fluida e il motore è ottimizzato perfettamente anche per i pc più lenti.
by Gnupick
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