Mean Streets
Tex Murphy è il tipico investigatore privato in impermeabile dall’aria di chi fa continuamente a cazzotti con la vita e snocciola riflessioni amare sull’esistenza: non vive però nell’America della Grande Depressione, ma in una post-apocalittica e radioattiva San Francisco governata dalla tecnologia e dagli eccessi. Tex viene assunto da Sylvia Linksy per indagare sulla morte del padre Carl, un professore universitario: la polizia pensa a un tipico caso di suicidio, ma la ragazza ritiene che si sia trattato di omicidio. Investigando su e giù lungo la costa orientale degli Stati Uniti, il nostro detective porterà alla luce un disegno che va ben oltre la morte di un solo uomo, e che metterà in bilico il destino del mondo.
La Access Software, casa americana fondata nel 1983 con sede a Salt Lake City, fa il suo esordio nel mondo delle avventure grafiche nell’89 con “Mean Streets”, titolo che avrebbe dato il via a una delle serie più note del genere. Scritto e diretto dai due fondatori dell’azienda, Bruce Carver e Chris Jones (insieme a Brent Erickson), il gioco è in realtà caratterizzato da un gameplay misto, retaggio di un periodo estremamente sperimentale per gli adventure.
Gran parte dell’investigazione è composta dagli interrogatori, in cui è richiesto di scrivere l’argomento delle domande da porre all’interlocutore attraverso un’interfaccia testuale: con il quesito giusto si ottiene un indizio, il più delle volte costituito da un nuovo nome e da un luogo da visitare (per far sciogliere la lingua è anche possibile corrompere o minacciare, ma il più delle volte l’esito è spiacevole). Il tutto sfocia generalmente in altri interrogatori, ma in alcuni casi Tex dovrà seguire le tracce alla vecchia maniera, setacciando accuratamente l’ambiente in cerca di informazioni utili: in queste sequenze, il gameplay di “Mean Streets” ricorda le avventure classiche, con visuale in terza persona e interfaccia simil-SCUMM in basso. Purtroppo, l’utilizzo della sola tastiera e un menu di navigazione non proprio sopraffino rendono le operazioni di ricerca indizi piuttosto pesanti e macchinose. Raramente, il nostro investigatore sarà anche costretto a tirare fuori la pistola e a farsi strada con essa fra una serie di brutti ceffi: in questi casi il gameplay si trasforma in uno shooter in due dimensioni decisamente raffazzonato.
Ma la maggior parte del tempo la si trascorre all’interno dello ‘speeder’ volante di Tex in quella che è una vera e propria simulazione di volo (non a caso, il gioco era stato inizialmente concepito come tale). Per fortuna, è possibile inserire nel computer il luogo da raggiungere e lasciar fare al pilota automatico, ma i viaggi risultano davvero troppo frequenti e troppo lunghi, rappresentando senza dubbio l’aspetto più noioso e incerto dell’avventura. Il velivolo, inoltre, è anche l’unico posto in cui è consentito salvare, aprire l’inventario (l’utilizzo degli oggetti nelle sezioni adventure è automatico) e telefonare agli informatori di Tex per ricevere ulteriori piste da seguire.
In “Mean Streets”, l’influenza dell’immancabile “Blade Runner” viene chiarita a partire dall’ammiccante cover (speculare alla locandina originale del film di Scott) e prosegue non solo nell’ambientazione cyberpunk e, occasionalmente, negli scenari di degrado urbano, ma soprattutto nell’utilizzo del tono noir. L’avventura della Access riesce però a distinguersi attraverso un riuscito approccio che fa leva su un tipo di umorismo campy, ovvero sull’esasperazione di stereotipi e di situazioni tipiche di quel genere tale da rasentare la parodia (come una femme fatale che ammicca esageratamente fin dal primo fotogramma o un mutante dalla faccia buffa condannato a vivere con due teste). Il protagonista stesso, Tex Murphy, sebbene abbia in effetti poco spazio all’interno della vicenda, mostra caratteristiche che vanno a braccetto col mood adottato: pur cercando disperatamente di adottare un cipiglio chandleriano, infatti, il nostro manifesta la sua vera personalità sottilmente ‘tamarra’ in diverse occasioni, generando situazioni goffe e ridicole.
Altro punto di forza consiste indubbiamente nella sceneggiatura: nonostante la progressione dell’indagine venga percepita appena (perlopiù si tratta di scoprire il prossimo luogo da visitare) e la trama in realtà ruoti molto banalmente attorno al recupero di otto ‘card’ (con relative password), l’intreccio di personaggi e di storyline risulta particolarmente complesso e curato. Si tratta di una struttura narrativa che regala una certa libertà d’azione al giocatore e che si lascia seguire piacevolmente pur contando su un ritmo generalmente compassato. Il coinvolgimento resta sempre elevato anche grazie alla necessità di appuntare con carta e penna i nomi e le caratteristiche dei vari personaggi e gli indirizzi dei luoghi in cui si interagisce: un meccanismo di indagine che sarebbe stato progressivamente eliminato negli adventure in nome di una maggiore semplicità, ma che ancora oggi conserva il suo fascino.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, “Mean Streets” segna un paio di importanti tappe evolutive. Innanzitutto, rappresenta uno dei primi videogiochi su PC a sfoggiare una grafica VGA a 256 colori; i personaggi, durante gli interrogatori, vengono inoltre ritratti attraverso frame con attori reali e lo stesso Chris Jones (principale sceneggiatore dell’avventura) interpreta il ruolo di Tex nelle mini cutscene. Per quanto riguarda l’audio, ‘Realsound’ – una tecnologia proprietaria della Access – permetteva di ascoltare suoni digitalizzati, come voci o musiche, anche senza possedere una scheda audio (direttamente dal ‘PC speaker’): il risultato oggi può far sorridere (anche considerando che, in generale, il reparto audio è – di fatto – piuttosto povero) e in effetti il sistema sarebbe stato usato solo in pochi titoli prima di venire soppiantato, ma la feature fu ai tempi molto pubblicizzata.
“Mean Streets” è un’avventura complessivamente riuscita, varia e interessante. La Access introduce il personaggio di Tex Murphy con un prodotto sperimentale lontano dalla perfezione, ma animato da un sincero spirito pioneristico trasudante passione.
La citazione:
Tex: ‘Calma’, mi dissi. ‘È una cliente, e innamorarsi di una cliente può essere pericoloso per la carriera’. Eppure, se solo avessi saputo cosa provava per me…
Novembre 2, 2012 venerdì at 2:35 am
Che bella l’epoca in cui non sapevi cosa aspettarti da un’ “avventura grafica”. Ricordo questo gioco molto vario, più simulativo che narrativo, ma non è un male, anzi.
E’ proprio così: non sono un nostalgico ma queste avventure sono una continua (ri)scoperta: tutte diverse, tutte a loro modo ‘libere’. Adesso ogni minima variazione del gameplay viene segnalata. Prima invece era… normalità.
Bello sapere di non essere soli nell’autolesionismo. Ma hai ragione, è piacevole comunque giocarlo per scoprire l’ardore nello sperimentare tutte queste cose, ma tra sparatorie, allarmi e piloti automatici che ci mettono cinque minuti per atterrare c’è di che impazzire.