Il pubblico va sempre accontentato?
L’uscita di quella che, sinora, è l’avventura grafica più attesa finanziata con Kickstarter, spalanca con violenza una porta che fino a questo momento era rimasta solo socchiusa.
Con la prima parte di “Broken Sword 5: La Maledizione del Serpente” i Revolution consegnano al pubblico e, soprattutto, all’utenza che ha finanziato il progetto, il gioco che i fan – almeno dei primi due episodi – volevano: visuale, interfaccia ed enigmi classici, mood e ambientazioni sradicate dal primo episodio della serie, ritorno di situazioni e personaggi in cui ci si è già imbattuti in passato, eccetera.
In altre parole la software house inglese non ha fatto altro che mantenere la promessa fatta ai propri utenti/finanziatori, in modo corretto e trasparente.
Tutti contenti, quindi? Sì.
Cioè, non proprio.
A giudicare dai feedback che si possono leggere in giro, gli appassionati (torno a ribadire: si parla dei fan dei primi due episodi della serie) hanno effettivamente apprezzato l’ultima iterazione delle avventure di George e Nico, esaltandosi per il ritorno all’old school e crogiolandosi di fronte alla pulita e naturalmente piacevole grafica cartoon.
Fin dai primissimi minuti di gioco, però, è possibile osservare il gioco da un punto di vista diverso, giudicandolo in maniera quasi opposta. Da tale angolazione “La Maledizione del Serpente” è un gioco confezionato e impacchettato su misura, un prodotto ruffiano e poco ispirato che vive costantemente di rendita.
“Broken Sword 5” rappresenta una vera e propria resa creativa di fronte alle richieste di fan. Non c’è un guizzo, una trovata interessante; le uniche idee indovinate nascono dalla riproposizione di sentieri già battuti con successo nel primo, storico, episodio. L’avventura di Cecil e soci risulta anonima, infarcita di fanservice fino al midollo, con personaggi macchietta e protagonisti cristallizzati nel tempo che non hanno subito (né probabilmente subiranno) la minima evoluzione: un ensemble impersonale e annoiato in cui trovano spazio scenette ed enigmi sopra le righe (che possono ricordare gli infelici filler de “La Profezia dei Maya”, ma più spesso puzzano di Pendulo o perfino di “Secret Files”), vecchie conoscenze (la cui presenza risulta al meglio gratuita – a parte in un’occasione – e nel peggiore dei casi del tutto decontestualizzata) e, naturalmente, tonnellate di ammiccate verso i fedelissimi, con i quali i Revolution stabiliscono un patto tacito ma solenne: mai nominare, citare o ricordare il terzo e il quarto episodio – non sono mai esistiti.
Tale approccio genera inevitabilmente dei dubbi sull’efficacia – a lungo andare – di un certo tipo di progetti finanziati con Kickstarter. Quanto è giusto compiacere in toto l’utenza, accontentare ogni richiesta e prostrarsi al suo volere? È corretto rifiutare quasi totalmente ogni velleità creativa in favore di FANanziatori che dicono di sapere ciò che vogliono e che reagirebbero più inferociti e avvelenati che mai se sentissero che le loro aspettative sono state tradite?
Non biasimo la Revolution per aver gestito il progetto in questo modo, anzi. Ritengo però che consegnare tutto il potere nelle mani del pubblico rischi di provocare un deciso appiattimento della creatività. Il coraggio e la capacità di osare sono sempre state quelle caratteristiche che hanno spinto in avanti ogni forma d’espressione: nel nostro piccolo, giochi come “Monkey Island”, “Myst” o “The Walking Dead” non sarebbero mai nati senza la spinta di un gruppo di autori animati dalla volontà di sorprendere e stimolare il pubblico.
La gente non sa quello che vuole? Più che altro credo che spesso dimentichi il fascino dello stupore, il senso di meraviglia che si prova di fronte a qualcosa di inaspettato, di diverso o, semplicemente, di maggiormente autoriale. Non so se “Broken Sword 5” rappresenterà un’eccezione nel panorama dei grandi titoli che sono destinati a giungere fra noi, ma ciò che personalmente mi auguro è che personaggi come Tim Schafer o Jane Jensen riescano a bilanciare meglio i vari aspetti delle loro produzioni nate con Kickstarter inserendo la giusta dose di personalità e fermando quello che rischia di diventare un trend preoccupante.
Perché il cliente/finanziatore ha sempre ragione, ma anche no.
Dicembre 8, 2013 domenica at 3:04 am
Totalmente d’accordo con te.
I fanservice fanno gola per loro natura, certamente, ma cambiare il colore della scatola quando i cioccolatini – buoni, per carità – sono inevitabilmente gli stessi non fa crescere né il giocatore, né l’autore.
Spero che sia un modo per rilanciare una serie che si stava un po’ troppo allontanando dalla sostanza e per recuperare un bacino d’utenza perso di vista per tornare a rifiorire piena di nuove idee e osare con belle trovate, con un po’ dello spirito che troviamo in Schafer e Jansen.
Charles, non ci deludere!
Non ho potuto provare il titolo, ma in linea di principio sono d’accordo con te. L’autore che ha – se ha – un’idea dovrebbe andare avanti e coltivarla coraggiosamente, prendendo spunto dagli eventuali suggerimenti, ma senza lasciarsene condizionare.
Alla fine, come in ogni cosa, se il gioco è bello è merito suo; se è brutto è colpa sua (e non dei fan, che non sempre sanno esattamente cosa è giusto che vogliano).