Hard Boiled
L’ispettore Yuen ‘Tequila’ è uno sbirro di Hong Kong che non va molto per il sottile. In seguito a un caso finito male, in cui ha perso il suo migliore amico e ucciso per errore un poliziotto sotto copertura, è ora sulle tracce di Johnny Wong, implacabile signore del crimine della Triade. Tequila individua in uno dei suoi sgherri, Alan, un solido collegamento con Wong. Alan, però, si rivela un agente infiltrato nella gang di Wong per porre fine al suo dominio: ben presto fra lui e Tequila si formerà una difficile alleanza che li condurrà a vedersela con la pericolosa Triade e col più duro degli scagnozzi di Wong, il temibile Mad Dog.
L’espressione hard boiled deriva da un genere letterario parente del più generico noir: portato alla ribalta da Raymond Chandler con il suo Philip Marlowe (si parla della fine degli anni ’30), l’hard boiled si contraddistingue da vicende che sono solite avere come protagonista un detective privato ‘che fa a cazzotti con la vita’, che ama gli alcolici e che usa circondarsi di donne bellissime ma letali.
Dopo questa premessa, si può constatare come l’“Hard Boiled” del regista cinese John Woo (anno 1992) condivida un unico, vero aspetto con il genere letterario: il protagonista, Tequila, è un tipico rappresentante della categoria, un vero duro (e infatti, comunemente, per ‘hard-boiled’ si intende anche un uomo tutto d’un pezzo).
In realtà, però, il titolo originale “Làshǒu shéntàn” suona più o meno come “La Mano Rovente del Dio dei Poliziotti”, e si tratta di una citazione del titolo cinese del primo “Ispettore Callaghan”: non a caso, il vecchio ‘Dirty Harry’ condivide parecchi aspetti col nostro Tequila.
Essendo la prima pellicola di Woo ad approdare in America senza grosse sbavature (il precedente “The Killer” soffrì invece di una promozione inadeguata e di un adattamento molto carente), “Hard Boiled” possiede l’indiscusso merito di aver fatto conoscere l’hongkong style al pubblico occidentale. Per noi si è trattato, infatti, del capostipite del cosiddetto gun fu, mix di arti marziali e sparatorie: un genere fatto di ralenty, vere e proprie danze fra i proiettili ed elaborate coreografie. In terra nativa, il regista John Woo aveva già trattato e praticamente introdotto questo stile con “A Better Tomorrow”, pellicola dell’86 che però valicò i confini asiatici solo parecchi anni dopo, successivamente ad “Hard Boiled”.
Si può dire quindi che, con “Hard Boiled”, Woo (anche sceneggiatore) raffina e consolida la sua roboante e iperspettacolare estetica, che si sarebbe abbattuta con la forza di un pugno nella cinematografia d’azione mondiale, modificandola pesantemente dalla metà degli anni ’90 in poi. Inoltre, trattandosi dell’ultima pellicola del regista girata a Hong Kong, rappresenta anche un lungometraggio particolarmente significativo: in seguito, infatti, il talentuoso autore sarebbe stato adottato proprio da Hollywood, dirigendo l’acerbo “Senza Tregua” (1993) con Jean-Claude Van Damme (1993), e i più rilevanti (fra gli altri) “Face/Off: Due Facce di un Assassino” (1997) con John Travolta e Nicolas Cage, “Mission: Impossible II” (2000) con Tom Cruise e “Paycheck” (2003) con Ben Affleck.
“Hard Boiled” rappresenta la summa della poetica di John Woo: una sorta di bignami personale e genuino del suo cinema, a cui personaggi come i Wachowski o Tarantino devono moltissimo (per loro stessa ammissione: Quentin ha perfino dichiarato di aver deciso di diventare regista dopo aver visto i suoi film). Si sprecano quindi tutti i suoi marchi di fabbrica (che poi avrebbe parzialmente soffocato durante la sua permanenza in America): protagonista tostissimo, tematiche di amicizia, lealtà e onore, colombe (in questo caso limitate a non meglio precisati origami di pennuti), personaggi che impugnano una pistola per mano (il cosiddetto dual wield, poi più comunemente chiamato akimbo), ‘Mexican Standoff’ (l’impasse durante il quale i rivali si puntano reciprocamente la pistola a distanza molto ravvicinata), freeze frame (il momento in cui la scena si blocca su un preciso fotogramma per sottolineare un particolare attimo) e, ovviamente, ralenty come se piovessero.
Il leggendario Chow Yun-Fat, attore feticcio di Woo (qui al loro ultimo film insieme) è, nei panni di Tequila, una scelta obbligata: semplicemente, è il mezzo perfetto e simbiotico per esprimere al massimo le sequenze adrenaliniche del regista; il giovane Tony Leung Chiu Wai interpreta discretamente il ruolo di Alan, disgustato dalla sua vita di agente infiltrato e distrutto dai sensi di colpa; completano la gamma dei personaggi il boss paterno Hoi (Hoi-Shan Kwan), il viscido e crudele Johnny Wong (Anthony Wong), la discreta e ininfluente Teresa (Teresa Chang), il letale ‘mastino’ – ma dal ferreo codice d’onore – Mad Dog (Philip Kwok), e il severo ma positivo capitano Pang (Philip Chan).
In un film di questo genere, il plot non è certamente il fattore di rilievo, sebbene sia caratteristico il modo in cui venga raccontato: in questo, “Hard Boiled” si lascia piacevolmente seguire, con una sceneggiatura non certo originalissima ma che contiene tutti i tratti distintivi del regista asiatico, come la messa in scena di protagonisti moralmente retti – ma spietati quando l’occasione lo richiede, e le pesanti influenze del cinema del nostro Sergio Leone. Presenti anche spassosi momenti di umorismo nero tipici di Woo (come quando Tequila, in mezzo a un’orgia di proiettili e sangue, canta goffamente una ninna nanna tenendo in braccio un neonato), e scene politicamente scorrette (gente inerme – malati inclusi – crivellata di colpi senza pietà alcuna).
Un neo è invece rappresentato dalla colonna sonora, davvero insignificante. Mediocre l’adattamento in italiano.
Si può dire che il cuore di “Hard Boiled” si riassuma in tre gigasequenze di gun fu: alla casa del the, alla fabbrica di zio Hoi, e all’ospedale. Ora, se le prime due possono considerarsi ‘solo’ eccezionali, la terza (quasi trenta minuti!) ha veramente dell’incredibile, e rappresenta con ogni probabilità la massima espressione della grande abilità di John Woo: sparatorie continue che si consumano attraverso coreografie di una complessità senza pari, violenza a gogo e grandissima abilità con la macchina da presa, culminante in un lungo piano sequenza (circa due minuti, sebbene pare che sia presente un – impercettibile – stacco) che definisce in maniera inequivocabile il picco massimo della regia di Woo, ed espone chiaramente quanto il suo cinema abbia influenzato gran parte delle produzioni action a venire.
L’inflazionato termine ‘spartiacque’ si adatta perfettamente all’incidenza che “Hard Boiled” ha avuto nella storia del cinema d’azione: il film del Maestro (è proprio il caso di dirlo) John Woo reinventa e trasforma per sempre un genere, e acquisisce non solo l’onore di essere probabilmente il responsabile più diretto di questa metamorfosi, ma anche – malauguratamente – l’onere di aver dato il via a una serie di cloni malriusciti molto, troppo simili fra loro.
La citazione:
Capitano Pang: Gli dai una pistola, e si sente Superman. Gliene dai due, e si sente Dio.
Nota: Il film è al quinto posto in assoluto nell’ambitissima (?) classifica ‘Maggior Numero di Morti sullo Schermo’, grazie all’invidiabile traguardo di 307 uccisioni.
“Hard Boiled”, tecnicamente, non rappresenta l’ultima collaborazione fra il regista John Woo e l’attore Chow Yun-Fat. I due infatti avrebbero lavorato nuovamente insieme in “Stranglehold” (anno 2007), seguito ufficiale – ma videoludico – di “Hard Boiled”.
Agosto 16, 2013 venerdì at 3:06 am